Pubblicato su Politica Domani Num 35 - Aprile 2004

Editoriale
Calcio. Tre fischi alla fine

di Maria Mezzina

Quanto accade nel calcio è sintomatico dello stato di salute (economica e mentale) dell’intero paese.
Molti di noi hanno legato al calcio alcuni dei momenti più esaltanti delle proprie esperienze collettive: come dimenticare l’emozione dei rigori della famosa partita Italia-Germania e l’urlo “Campioni del mondo! Campioni del mondo!”, lanciato dai microfoni ai mondiali che ci videro trionfare.
È passato più di un ventennio e da allora molto è cambiato.
La “fabbrica dei sogni” dello sport nazionale è diventata la fabbrica delle illusioni. Nel calcio è entrato il tarlo che lo ha portato al disfacimento in cui versa.
Il disastro, però, era annunciato: dall’inizio della stagione passata – era l’agosto 2002 – c’era stata una mezza sommossa popolare contro un decreto salva-calcio che permetteva alle società sportive di dilazionare in dieci anni le perdite relative alla “svalutazione dei calciatori” (pessima ma azzeccata terminologia riferita a chi fa del pallone solo lo strumento per far soldi, tanti e subito). Il decreto venne poi approvato nel 2003: il gioco doveva continuare.
Ma era un gioco al massacro dove sono state calpestate le più semplici regole: di trasparenza nei bilanci, di accortezza e onestà nelle operazioni finanziarie e di decenza morale: milioni di euro dati in stipendio ai calciatori, contro l’incertezza e persino la disperazione di tanta povera gente che non riesce più a chiudere il mese.
La mostruosa macchina da soldi non è stata fermata neanche quando, con la morte nel cuore e la fascia nera al braccio, si è giocato sui campi internazionali nonostante il massacro di Madrid.

Era uscito, nel 2002, un libretto interessante di cui su queste pagine abbiamo parlato, “Il fenomeno Chievo” di Marco Vitale. Ora Vitale, oltre che appassionato di calcio, è esperto economista, e in quel suo libretto rivelava, dati alla mano, ragioni, processi, tempi e numeri di questo irreversibile declino. Inascoltato. Lo sfascio economico e morale delle società di calcio è andato avanti, la violenza negli stadi è diventata una costante, i capi degli ultrà, sempre più potenti e arroganti, hanno iniziato a condizionare dirigenti e giocatori, società e sportivi, ... fino al derby Roma-Lazio quando, non si sa come e non si sa perché (ma ci sono gravissimi sospetti), hanno scavalcato persino le forze dell’ordine, spalleggiati in questo da un Presidente di Lega (Galliani) gravemente ammalato – anche lui – di conflitto di interessi.
La gente che quella domenica era andata all’Olimpico per assistere ad una festa, uscendo terrorizzata dallo stadio, è scampata ad una tragedia.
È in corso un’inchiesta e un braccio di ferro fra le istituzioni (il Ministro dell’Interno e la polizia) e la Lega (Galliani) che ha visto, per ora, prevalere le prime: alla insignificante squalifica dell’Olimpico decretata dalla Lega ha risposto il capo della polizia con un “non ci sono le condizioni di ordine pubblico per poter giocare”; rimandando a data da destinarsi la riapertura dello stadio.
Fermiamolo questo calcio, dice Edio Costantini, presidente del Centro sportivo Italiano. Sospendiamolo, il campionato. Due miliardi e mezzo di euro di debiti (fra perdite di bilancio, 360 milioni; debito Irpef, 510 milioni; debiti Enpals, 60 milioni; e 905 milioni per decreto del 2003) sono un buco mostruoso nel quale si annida di tutto, dai fallimenti alla violenza, dalla mafia alla corruzione. Ritorniamo a vedere il calcio giocato, quello delle vere emozioni e passioni, quello degli oratori e dei campetti di provincia. Cominciamo a vedere altri sport che tanta soddisfa zione hanno dato e danno all’Italia. Fermiamolo questo calcio. Oppure facciamo una scelta consapevole: fermiamoci noi e non andiamo più allo stadio.

Fermiamolo perchè non c’è più senso a veder vincere sempre le stesse squadre. Il campionato rischia di ridursi a tre squadre, e tutti gli altri fuori, non per ragioni sportive, per ragioni economiche.
E poi, un altro decreto salva-calcio, o spalma-debiti (i 510 milioni di euro di debiti con l’Irpef), serve solo a salvare società allegramente allo sbando.
Su questo calcio si gioca la credibilità di questo Governo, la sua stabilità e la credibilità dell’Italia.

 

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