Pubblicato su Politica Domani Num 35 - Aprile 2004

Emergenza petrolio
Dietro il prezzo della benzina
Speculazione, tasse troppo alte e instabilità le ragioni alla base del caro carburante

di Alessio Fatale

L'abbattimento del muro delle duemila lire per il prezzo del carburante, nel 2000, sembrava dover durare l'arco di tempo di una breve crisi. Così non è stato. Il prezzo del carburante continua a mantenersi alto perché il prezzo del petrolio non accenna a scendere. Una situazione insostenibile per di più aggravata soprattutto dalla crisi irachena.
Alla fine del 1998 il prezzo del petrolio era arrivato al un minimo storico di 10 dollari al barile. Poiché la crisi asiatica aveva fatto diminuire la domanda, i paesi produttori cercarono di aumentare gli introiti producendo e vendendo più barili. Per la legge della domanda e dell'offerta il prezzo crollò ancora di più. Nei paesi produttori fu crisi: il bilancio pubblico dell'Arabia Saudita raggiunse un debito pari al 100% del Pil, le condizioni economiche di paesi già seriamente in difficoltà per la crisi finanziaria semiglobale del 1997-98 (Venezuela, Russia e Messico, in particolare) peggiorarono.
A quel punto sia l'Opec sia gli Stati Uniti si accordarono informalmente per lasciare che il prezzo del petrolio salisse, in modo tale da rinpinguare le scassate finanze dei paesi emergenti e produttori. Ma quando, nel 1999, il prezzo del petrolio tornò tra i 25 ed i 30 dollari al barile, l'Opec non volle, o non fu in grado, di ristabilizzarlo sui 25 dollari, tendenti ai 20, quota considerata di sicurezza contro l'accensione di fenomeni inflattivi in Occidente.

Il sistema di controllo dei prezzi saltò per diversi motivi: la crescita mondiale aumentò in modo inaspettato, creando una domanda di petrolio superiore alle possibilità di produzione massima corrente dei paesi produttori. Solo pochi paesi, infatti, sono tecnicamente capaci di estrarre più petrolio in poco tempo; fra questi ci sono l'Arabia, il Messico e l'Iraq. Gli altri paesi produttori non sono in grado di farlo per quote consistenti ed in più alcuni, tra cui l'Iran e l'Indonesia, si sono opposti, e continuano a farlo, a qualsiasi incremento di produzione che riduca il prezzo. Non è facile rinunciare ad un profitto tanto elevato, soprattutto in economie sottosviluppate e bisognose di capitali. Le compagnie petrolifere, peraltro, godono di grandi vantaggi derivanti dai prezzi più alti, sia in termini di profitti sia in termini di capitalizzazione borsistica , e non sono certo le più attive nel cercare di riequilibrare il sistema. Ciò premesso, il mercato speculativo si attende per il futuro un continuo rialzo: dagli attuali circa 35 dollari al barile ai probabili circa 40 dollari al barile. La tendenza quindi è a non vendere subito tutto il petrolio disponibile per guadagnare di più dopo, con un prezzo più alto. Si riduce così l'impatto benefico dell'aumento di produzione già attuato nel 1999 dai paesi in grado di farlo, Arabia in particolare, e delle promesse di aumento per il prossimo futuro.

Contromisure. A breve, per gli europei, l'unica cosa efficace da fare è di togliere le tasse sui carburanti. In Italia, come noto, il 68% del prezzo della benzina va al fisco, il 16% ai raffinatori e il 16% ai produttori. La riduzione del carico fiscale potrebbe combattere un'infiammata dell'inflazione. Ed è una buona notizia il fatto che la Commissione europea stia spingendo in questa direzione. Meno buona notizia è la lentezza con cui i paesi dell'Unione stanno adeguandosi a queste direttive.
Per evitare che la questione petrolifera diventi l'incubo del futuro, bisogna porre l'Opec di fronte a precise responsabilità: un modo sarebbe quello di far capire ai paesi produttori che di fronte a prezzi così elevati l'Occidente non avrebbe altra scelta che accelerare le ricerche per la sostituzione del petrolio con altre fonti energetiche, cosa di fatto ora possibile grazie alle nuove tecnologie. Per esempio si prevede che l'idrogeno possa alimentare il 25% dei consumi per trasporti entro il 2020 (mediante generatori e motori basati su "fuel cells"). Non solo, si può fare molto di più e prima. I paesi dell'Opec dovranno quindi tenere in considerazione queste nuove tendenze e, per evitare di perdere nel prossimo futuro il potere economico conquistato grazie al petrolio, dovranno tenere comportamenti meno aggressivi. Un atteggiamento moderato (con un prezzo costante sui 20-25 dollari per barile) renderebbe più morbida la transizione verso l'epoca post-petrolifera, permettendo ai paesi produttori di usare al meglio gli introiti attuali e di investire in altre strategie di sviluppo economico per i propri paesi, magari con la cooperazione occidentale. Se questo non accadrà il prezzo che questi paesi rischiano di pagare sarebbe molto superiore al sia pur ingente guadagno odierno.
La crisi irachena non ha di certo aiutato questo processo. Anzi, la minore estrazione di greggio dai pozzi dell'Iraq dovuta, più che alla guerra, alle azioni terroristiche post-guerra, sta creando una situazione di sempre più instabile equilibrio. Gli Stati Uniti devono fare alla svelta perché tutto il caos creato dalla guerra sta dividendo sempre più i Paesi Occidentali e perché contro di loro sta montando un sentimento di odio da parte delle stesse popolazioni, e non solo da parte dei terroristi islamici.

i All'aumentare del prezzo aumenta il valore delle azioni e quindi aumenta il capitale a disposizione delle compagnie petrolifere.

 

Lungo le vie del petrolio: l'Azerbaijan
Il mar Caspio è considerato un lago con risorse comuni. Diviso fra Azerbaijan, Iran, Kazakhstan, Russia, e Turkmenistan, è al centro di tensioni che riguardano soprattutto lo sfruttamento delle sue risorse petrolifere. A partire dal 1997 33 compagnie di 15 paesi si sono impegnate per 35 miliardi di dollari per lo sviluppo dell'industria del petrolio in Azerbaijan. Dopo la Russia, oggi in declino perché lontana dalle vie di passaggio dei grandi oleodotti, sono diventati partner privilegiati della Repubblica Azera l'Unione Europea, la Turchia, l'Iran, gli Emirati Arabi Uniti. Grazie alla scoperta di nuovi giacimenti di petrolio e gas, e allo sfruttamento delle risorse provenienti dal Caspio il PIL sta crescendo dell' 11% ogni anno, dal 2002.

 

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