Pubblicato su Politica Domani Num 35 - Aprile 2004

Cinema: La fabbrica delle illusioni nel mondo della celluloide
Adorabili ciarlatani
L'arte della menzogna al servizio dei più bei film della storia del cinema.

di Luca Di Giovanni

In una bellissima scena de "Gli ultimi fuochi" di Elia Kazan - un film che riflette sull'industria cinematografica, uno dei più importanti film di Hollywood su Hollywood - Robert De Niro, nel ruolo del produttore Monroe Stahr, cerca di svelare ad uno sceneggiatore in crisi creativa, che lavora per lui, il segreto per raccontare una grande storia. Improvvisa una scena, mima una sequenza, inventa i particolari, e quando lo scrittore puntualizza che ci sono delle incongruenze e gli chiede chiarimenti su alcuni dettagli che non si spiegano, De Niro gli risponde "Non lo so, stavo solo facendo del cinema".
Che cosa accomuna i grandi maestri dell'era classica, i pionieri che sperimentavano soluzioni tecniche e formali sempre più complesse agli inizi del secolo scorso, ai maghi degli effetti speciali, delle tecniche digitali che oggi costituiscono l'elemento di maggior attrazione per il pubblico che affolla i multisala?
Dal nuovo linguaggio che sta alla base del cinema moderno ideato da Griffith ai formalismi di Eisenstein, dai balletti di Chaplin alle invenzioni surreali di Keaton, dalle atmosfere cupe ed inquietanti dei Kammerspiel tedeschi ai noir barocchi ed espressionisti di Lang e Welles, dalle poesie stralunate di Tati ai deliri onirici di Fellini, fino alle moderne favole di Spielberg e Tim Burton il cinema è sempre stato una fabbrica di sogni, un mondo che inventa altri mondi.
Nato per caso, come invenzione e scoperta tecnico-scientifica, il cinematografo dei fratelli Lumiere (secondo loro una scommessa persa in partenza, tanto che non ritennero necessario neanche brevettarlo) rivelò subito la sua natura affabulatoria, la sua magica predisposizione a stupire. I pochi fortunati che il 28 dicembre nel 1895, sullo schermo del Salon Indien del Gran Cafè al numero 14 del Boulevard des Capucines, videro animarsi gli operai che uscivano dalla fabbrica ebbero uno sconvolgente assaggio delle potenzialità di quella macchina "capace di riprodurre la vita". Quando, un mese dopo, una nuova proiezione dei Lumiere mostrava un treno che arriva in una stazione, ripreso in prospettiva diagonale a tagliare lo schermo dall'angolo destro alto a quello sinistro basso, si scatenò in sala il terrore degli spettatori che si nascosero sotto le sedie, convinti che il treno avrebbe finito per schiacciarli.
Ma fu il genio di Georges Melies, uomo di spettacolo, mago, illusionista, prestigiatore, ad intuire che il linguaggio cinematografico è adatto a valorizzare i trucchi, le magie che aveva già sperimentato a teatro.
Un banale incidente (il nastro che si inceppò nel caricatore) diede vita al montaggio, arte dell'illusione e dell'inganno visivo. I film di Melies, il primo vero bugiardo della storia del cinema, inventore della fantascienza, precursore del cinema d'avanguardia, profeta dell'innovazione, dell'antirealismo, della frantumazione della realtà, poeta dell'evasione, della fantasia, del divertimento, della voglia di stupire, nascono da questa intuizione: il cinematografo non si limita a riprodurre la realtà, ma crea un'altra realtà, la realtà illusoria dello schermo dove tutto è possibile.
Lo spettatore vuole credere a ciò che vede sul grande schermo, ha bisogno di emozionarsi, di illudersi, di sperare che le storie e i personaggi materializzati dal fascio di luce del proiettore siano veri; tutto questo i grandi maestri lo hanno sempre saputo.
I grandi bugiardi che hanno fatto la storia del cinema hanno dichiarato esplicitamente il loro amore per la magia, il trucco, la finzione (il circo che torna nei film di Chaplin, Fellini, Tati), si sono divertiti a confondere sogno e realtà (Bergman, Woody Allen, Sergio Leone nel mitico finale di "C'era una volta in America"), cinema e realtà (come fa Alberto Sordi in "Un americano a Roma", Buster Keaton in "Il cameraman" e in "La palla numero 13", Peter Bogdanovich in "Bersagli"), si sono lasciati andare ad (auto)ironiche confessioni ("Sono un bugiardo" diceva Fellini; "Sono un ciarlatano" dice Orson Welles nel suo straordinario film-testamento "F for fake - Verità e menzogna").
Del resto la carriera dello stesso Welles è cominciata con un clamoroso falso, quando l'allora ventitreenne attore ai microfoni di un programma radiofonico molto seguito fece allarmare mezza America annunciando un'imminente invasione degli alieni. La beffa fu congegnata talmente bene che si mobilitarono le forze dell'ordine in molti Stati, ci fu un coprifuoco immediato e un fuggi fuggi che causò il panico e paralizzò il traffico nelle strade di molte grandi città.
Grazie al clamore suscitato da questa sua impresa, al giovane Welles fu offerto un contratto unico nella storia del cinema, che gli permise di realizzare in assoluta libertà creativa un capolavoro come "Quarto potere". Intervistato sui suoi esordi, il grande regista ormai a fine carriera disse: "Mi denunciarono, ebbi molti guai per quella storia dei marziani. Avrei dovuto andare in prigione. Non devo lamentarmi: sono finito a Hollywood".

La storia dei marziani
Era il giorno prima di Halloween, il 30 ottobre del 1938, quando milioni di americani si sintonizzarono sul popolare programma radiofonico diretto da Orson Welles. Quella sera lo spettacolo prevedeva l'adattamento di un romanzo di fantascienza, "La guerra dei mondi", ma Welles decise che doveva sembrare un notiziario di invasione di marziani.
Gli americani ci credettero e la polizia scese in strada.

 

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