Pubblicato su Politica Domani Num 34 - Marzo 2004

Mercato globale
Come una piovra, anche su Terni
L'economia Mondiale va attentamente monitorata. I cambiamenti socioeconomici costano, e a pagare il prezzo più alto sono sempre le classi medie.

di Fabio Antonilli

I lunghi tentacoli del mercato globale si diramano ovunque nel mondo, occupando tutti gli spazi disponibili, creando ricchezza, forse anche benessere. Ma, come in tutte le medaglie, c'è un'altra faccia: con il mercato globale avanzano anche la povertà, la precarietà e il disagio sociale. Fino a qualche anno fa si diceva: "Quando Wall Street starnutisce il mondo si ammala", un altro modo per dire che gli Usa erano al centro di ogni delicato equilibrio mondiale; ora la sempre più stretta interdipendenza a livello globale di tutto ciò che riguarda produzione, commercializzazione e consumo ci autorizza a dire che "A qualsiasi starnuto c'è sempre qualcuno che rischia il contagio". Il detto è valido solo per una ristretta cerchia di Stati naturalmente, quelli più esposti alle contaminazioni dei virus finanziari, dei cui effetti non dovremmo più stupirci più di tanto visto che, in fondo, l'abbraccio con il libero mercato è stato una nostra scelta. È difficile, però, rimanere indifferenti alle bufere che sempre più spesso si abbattono sull'economia di una comunità o di uno stato, quando a contare i danni e a raccogliere i cocci sono milioni di persone in tutto il mondo nella veste di investitori, risparmiatori, consumatori e lavoratori. Basti ricordare le crisi dell'11 settembre, il crollo dei bond argentini e della Cirio, il crac Parmalat - che ormai domina la scena mondiale -, per citare solo quelli più noti. Ma ci sono tanti altri esempi che dimostrano come un evento, una decisione presa in un posto crea uno scossone anche a migliaia di chilometri di distanza.
È il caso dell'acciaieria di Terni. Il proprietario, il colosso tedesco ThyssenKrupp, vedendo crollare le proprie vendite - "a causa di scelte sbagliate e suicide", sostengono i sindacati - e ritenendo di dover chiudere qualcuno dei suoi impianti, ha scelto di chiudere lo stabilimento italiano (l'alternativa era quello tedesco o francese), mettendo così a rischio più di 900 posti di lavoro (l'allarme è poi rientrato in seguito ad un accordo tra le parti sociali con la mediazione del governo).
Anche la scelta della Cina di qualche tempo fa, di ridurre le esportazioni di carbon-coke minaccia l'attività degli altiforni (acciaierie di Terni e di Cornigliano, Genova), e mette a repentaglio centinaia di posti di lavoro.
Insomma i due casi dimostrano che una decisione di politica industriale, tanto legittima quanto dolorosa perché favorisce in entrambi i casi rispettivamente l'economia tedesca e francese e quella cinese a scapito di quella italiana, può provocare reazioni a catena nelle quali sono gli ultimi anelli, i dipendenti, i primi a subire i danni maggiori.
Si pone allora il problema di quali tipi di tutele sia giusto adottare a difesa dei lavoratori, e soprattutto di quali siano le strade percorribili. In altre parole: è giusto che lo Stato intervenga in qualche modo? E in che termini?
"Casi come quelli di Terni o di Cornigliano" dice il professor Francesco Liso, ordinario di Diritto del Lavoro all'Università la Sapienza "pongono indubbiamente un grosso problema dal punto di vista sociale al quale non ci si può sottrarre. Purtroppo oggi lo Stato non può permettersi di intervenire come avrebbe fatto una volta, per varie ragioni, ma è giusto che si proponga come mediatore. Le soluzioni poste dal nostro ordinamento per i casi di esubero di personale sono gli ammortizzatori sociali, come la Cassa Integrazione, il prepensionamento per i più anziani e la mobilità". Ma resta il problema legato all'accesso agli ammortizzatori sociali, "sarebbe opportuno estendere la tutela anche ad altri settori che attualmente sono esclusi" aggiunge il professore.
Insomma mentre l'economia di mercato continua a fare "vittime" è opportuno rivalutare il ruolo dello Stato nel sociale, ad esempio con valide tutele a difesa dei soggetti più deboli e comunque più esposti agli alti e bassi dell'economia mondiale. Le più efficaci, forse le uniche possibili, sembrerebbero essere quelle già determinate; un intervento dello Stato, laddove possibile, potrebbe soccorrere un'azienda in difficoltà ma si porrebbe in contrasto col principio di libera concorrenza in quanto favorirebbe il beneficiario dell'intervento pubblico.

 

Storia dell'acciaieria di Terni

L'Acciaieria di Terni nasce nel 1884 e già all'inizio del XX secolo contava 2700 dipendenti.
Ebbe un ruolo importante durante entrambi i conflitti mondiali e, in generale, per l'economia italiana tanto che, dopo la crisi del '29 ne fu decisa la nazionalizzazione da parte dell'IRI. L'acciaieria passò poi alla FINSINDER nel 1937. Nel secondo dopoguerra vennero istallati due forni elettrici, un impianto per la produzione di ghisa malleabile e uno per la produzione di lamierini magnetici. Negli anni '80 si specializza nella produzione di laminati piani al silicio e inossidabili.
Nel 1989 l'ILVA si sostituisce alla FINSIDER. Nel 1994 la proprietà passa alla ThyssenKrupp, che è tutt'ora azionista di maggioranza.

 

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