Pubblicato su Politica Domani Num 34 - Marzo 2004

Multinazionali e PVS
Caffè amaro
Dietro la bevanda si celano grandi interessi economici che provocano gravi situazioni di povertà. Le scelte dei consumatori possono aiutare a riequilibrare una situazione che sta uccidendo la piccola produzione e la cooperazione nei paesi più poveri

di Eugenio Marchetti*

Il caffè rappresenta il secondo mercato, dopo il petrolio, nel commercio mondiale di materie prime. Attualmente la quasi totalità della produzione proviene dall'America Centrale, dal Brasile e dall'area tropicale del Sud America. Molti stati, come l'Uganda e il Burundi, dipendono economicamente dall'esportazione di caffè. Ovviamente, i clienti sono i paesi occidentali, in particolare quelli nordeuropei come la Danimarca la Finlandia e l'Olanda.
Quasi tutto il mercato del caffè è dominato da poche multinazionali che come al solito fanno il bello e il cattivo tempo nel mercato globale. Procter&Gamble, Kraft, Sara Lee, Nestlé, Starbucks e la tedesca Tchibo da sole acquistano più della metà del caffè mondiale.
Secondo il rapporto della ONG Oxfam International, sono almeno 25 milioni i piccoli coltivatori nel Terzo Mondo minacciati dalla caduta libera del prezzo del caffè. Ma in che modo i produttori del terzo mondo sono danneggiati dalle grandi imprese? Queste esercitano fortissime pressioni sui prezzi, sfruttando posizioni di grande vantaggio commerciale. I piccoli produttori sono strutturati prevalentemente in cooperative familiari; spesso non sono proprietari della terra coltivata e non riescono neppure a soddisfare i bisogni vitali né ad acquistare la materia prima per la semina. La precarietà delle cooperative le rende vulnerabili soprattutto in fase di contrattazione della vendita del raccolto. Le multinazionali si inseriscono proprio in questa "fase di contrattazione", fanno cioè da intermediari fra il piccolo produttore, che vende il proprio prodotto sul mercato locale, e il mercato occidentale. Esse, grazie al loro forte potere contrattuale, impongono a proprio piacimento il prezzo del prodotto.
A gravare ancora sui produttori dei paesi in via di sviluppo ci sono le politiche agricole protezionistiche attuate dai paesi industrializzati per proteggere le proprie produzioni interne: l'Unione Europea, per esempio, applica nel caso delle importazioni di caffè una serie di aliquote di imposta che aumentano con l'aumentare del grado di trasformazione del prodotto. Inoltre le frequenti oscillazioni dei prezzi nelle borse occidentali si ripercuotono in maniera drammatica sui produttori del terzo mondo. Nel novembre 2002 la caduta dei prezzi ha causato gravissime crisi occupazionali e la perdita di 600 mila posti di lavoro; in alcune zone, la crisi è stata così acuta e l'impoverimento così radicale che si sono venuti a creare gravi problemi di malnutrizione fra i bambini. In Uganda, per esempio, dove il caffè rappresenta il 97% delle esportazioni, una flessione anche minima sulla quotazione ha conseguenze notevolissime.
Tra i maggiori responsabili della disequità del mercato ci sono le istituzioni finanziarie internazionali, tra cui il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, che aggravano la situazione incoraggiando, quando non imponendo, nei PVS (Paesi in Via di Sviluppo, un eufemismo per indicare i paesi più poveri) la liberalizzazione dei mercati e la conseguente guerra dei prezzi tra concorrenti.
Si fa sempre più urgente la necessità di un organismo mondiale di controllo per evitare che lo scenario del futuro sia quello di un apartheid socio-economico fra Nord e Sud del mondo e di un forte degrado ambientale. L'impoverimento delle piccole aziende produttrici costringe infatti i lavoratori ad abbandonare le terre per andare ad aggiungersi ai milioni di disperati senza lavoro e senza speranza che si accalcano alle periferie dei grandi centri urbani in condizioni di assoluto degrado
Ma cosa può fare il singolo consumatore dopo aver preso coscienza di tutto ciò?
Innanzitutto può attuare il boicottaggio dei prodotti delle "multinazionali-killer" che favoriscono la crisi dei produttori di caffè dei PVS. Il boicottaggio è un potente strumento nonviolento, spesso sottovalutato, che i consumatori hanno per spingere le grandi imprese a cambiare le loro politiche. Inoltre è importante che il consumatore consapevole acquisti il caffè (e molti altri prodotti) nelle botteghe del commercio equo e solidale (CES). Si tratta di una struttura che si impegna da anni per assicurare ai piccoli produttori dei paesi poveri dei prezzi equi, rispettosi della dignità dei lavoratori impegnati nella produzione, e il più possibile al riparo delle oscillazioni delle borse. Nel caso del caffè, ad esempio, il CES mantiene il prezzo a 126-124 dollari per 100 libbre a differenza delle grandi multinazionali che fanno oscillare i prezzi da 115 a 101 dollari per 100 libbre. Con qualche spicciolo in più il consumatore potrà sostenere il commercio equo e solidale, questa rete di cooperazione multinazionale ramificata sui territori di produzione con piccole cooperative e nei paesi consumatori con una rete di piccole botteghe. Il ricavato della vendita dei prodotti va a coprire il costo delle materie prime, garantisce una retribuzione dignitosa dei lavoratori e finanzia inoltre progetti comunitari di sviluppo. Diversamente da quel che si crede, per pigrizia più che per convinzione, il piccolo consumatore può fare molto perché, dopo tutto, senza il suo denaro le multinazionali non hanno alcun potere. È quindi importante essere consapevoli nelle scelte di ogni giorno a cominciare, perché no, dalla tazzina di caffè.

* Eugenio Marchetti fa parte del Circolo "La Spinosa" LegambienteVelletri

 

Coca al posto del caffè
In Etiopia il crollo dei prezzi sta portando i contadini a sostituire la coltivazione del caffè, con quella del "chat", uno stimolante anfetaminico. Nel paese si coltiva caffè da oltre 3000 anni. Negli ultimi cinque anni però, i guadagni sul caffè sono scesi dal 70 al 35%, e il prezzo è il più basso degli ultimi 100 anni: 89 centesimi il pound (circa mezzo chilo) contro i 3 dollari di un tempo. Un cesto di chat si vende a 9 dollari.
É possibile che a causa della crisi del prezzo del caffè, aumenti nel mondo la produzione di sostanze stupefacenti. Anche in Perù infatti il caffè è sceso a 65 centesimi, mentre quello della cocaina, che sta sostituendo nei campi il caffè, è di 3 dollari il pound.

 

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