Pubblicato su Politica Domani Num 34 - Marzo 2004

Testimonianze
Argentina: parla un italiano venuto da lontano
Intervista al Prof. Raffaele Catalano

di Maria Mezzina
Con la collaborazione di Marta De Stasio e Alessia Milicia

Perché è stato in Argentina e cosa ci può dire del "clima" che si respirava durante la sua permanenza, in particolare del dramma dei desaparecidos?
Sono stato in Argentina perché ho insegnato sette anni, dal 1995 al 2001, nel liceo italiano "Cristoforo Colombo" di Buenos Aires. Ma c'ero già stato anche nel '78, come commissario di esami. In quel periodo, nel '78, ero al corrente delle estreme repressioni di ogni forma di dissenso nel paese, ma non fui testimone di nessun episodio di scomparsa di persone. Allora il clima era teso e nessuno parlava. Quando ritornai invece, nel '95, la gente era allegra e parlava, sperava e si impegnava. A partire dal 1983 si parlava molto del problema dei desaparecidos; ed io ero a Buenos Aires quando, nell'85 il presidente Clinton incontrò pubblicamente le "Madres de Plaza de Mayo", diventate ora le "Nonne della Piazza di Maggio".
La dittatura militare argentina degli anni dal '76 all'83 fu un grande dramma per la popolazione. La Chiesa era molto divisa, le alte gerarchie appoggiavano la dittatura, ma alcuni preti fecero davvero molto per salvare le vittime della persecuzione governativa. Amnesty International denunziò la mancanza di libertà. Il presidente Cortes era dichiaratamente ostile alla dittatura in America Latina, ma non riuscì a far cadere la giunta militare perché il presidente americano Reagan l'appoggiava. Nel 1983, in conseguenza dell'attacco dei generali argentini alle colonie inglesi delle Falkland (che lì sono chiamate Malvine) Reagan fu costretto a sconfessare (dopo molte esitazioni), i militari al potere. Reagan era infatti molto vicino alle posizioni di Margaret Thatcher, leader ultra conservatrice del governo britannico. L'Argentina ritornò così alla democrazia nel 1983.

Quali erano le condizioni socio-economiche della gente e quali, secondo lei, le cause del crollo economico dell'Argentina, sfociato nelle dimostrazioni di piazza dei "cacerolazos"?
L'Argentina vive una situazione paradossale: è un paese vastissimo, 2,78 milioni di kmq, 40 milioni di abitanti e sterminate risorse, sempre sull'orlo della bancarotta. In Argentina l'agricoltura e l'allevamento sono molto sviluppati. L'industrializzazione di questi settori ha ridotto enormemente la manodopera ed ha accresciuto notevolmente le produttività. L'industria ed il terziario sono relativamente deboli. I prodotti agricoli e la carne però non sono esportati in quantità adeguate perché devono concorrere con l'offerta di prodotti analoghi da parte degli USA, del Canada, dell'Australia e dell'Europa. Dopo la caduta della giunta militare salì al potere, democraticamente, Raúl Alfonsín (1983-1989) e dopo di lui Carlos Menem.
L'epoca di Menem fu un'epoca di grandi speranze che però sfoceranno in una tragica disillusione. Ebbe allora un ruolo molto importante il ministro ed economista Dominigo Cavallo, figlio di emigrati piemontesi. Egli basò la sua politica sulla parità dollaro statunitense-peso argentino, perché sperava di integrare l'Argentina nel sistema economico nord americano. Questa politica fallì clamorosamente nel periodo 1994-1998 perché, esaurita la vendita dei beni pubblici argentini, gli attesi investimenti furono assolutamente insufficienti. Il collasso arrivò nel 2001 e provocò la rivolta popolare contro De la Rue, che brillò per inettitudine. C'erano forze di sinistra, che si opponevano al liberismo sfrenato del governo, ma la gente ricordava l'inflazione al 4000% annuo dell'epoca nella quale era stato presidente il radicale Raul Alfonsin e non credeva, nella grande maggioranza, in un economia basata sulle nazionalizzazione ed il capitalismo di stato. Il crollo dell'URSS favoriva gli assertori del libero mercato e dello slogan "meno stato più benessere".
L'Argentina è strangolata dagli interventi fatti dal F.M.I. e dalle principali banche dei paesi sviluppati. L'economia argentina può crescere soltanto se viene integrata in condizioni di parità nel nuovo blocco economico che si sta costruendo tra i paesi occidentali ed i paesi dell'ex patto di Varsavia. C'è però il problema che l'Europa ha la necessità di proteggere l'agricoltura e l'allevamento continentale da una concorrenza che potrebbe determinare il fallimento di moltissime imprese attive nel settore primario.
La tragedia dell'Argentina è la disoccupazione senza sbocco di centinaia di migliaia di giovani che vivono nelle grandi città e rischiano di diventare o diventano delinquenti. La gente cerca di organizzarsi, ma è necessaria una nuova politica economica internazionale ispirata da valori sinceramente cosmopoliti che si traducono in una serie di scelte molto diverse da quelle prevalse finora.

Come ha reagito e come si è organizzata le gente per superare le difficoltà economiche?
Ci sono due esempi che mi piace citare. L'enorme surplus, che deriva dalla presenza di prodotti agricoli e di allevamento che non vengono esportati, è assorbito dalle organizzazioni di assistenza: la chiesa, le organizzazioni umanitarie e il partito peronista (che in Argentina è molto più di un partito e si identifica in un'ideologia); il cibo viene ridistribuito nelle enormi mense per i poveri e gli indigenti. Durante la crisi finanziaria del 2001 e la totale mancanza di moneta contante, sono sorti mercatini e luoghi di scambio in natura, nei quali gli scambi avvenivano, e in alcuni casi tuttora avvengono, mediante forme sostitutive del denaro: le "patacones", una sorta di moneta contante inventata dalla gente e di circolazione limitata, e i "crediti", una sorta di "banca del tempo e delle prestazioni" circolanti fra gruppi di persone unite in associazione, che mettono a disposizione le proprie competenze.

Come ha reagito la comunità di immigrati italiani alle difficoltà venutesi a creare?
Molti immigrati italiani e discendenti di immigrati, pensano di tornare in Italia. È in atto una "immigrazione di ritorno" che è opportuno tutelare. È necessaria una maggiore attenzione ai problemi degli italiani indigenti che spesso non hanno il denaro sufficiente per tornare in Italia e non sanno come vivere in Argentina. L'Italia è presente nel paese, ma è indispensabile una serie di interventi che informino quelli che vogliono tornare, sulle concrete possibilità di reinserimento nel nostro paese. Alcuni miei ex allievi si sono trasferiti in Italia e c'è una crescente domanda d'italiano, anche da parte di argentini di origine spagnola che vogliono ritornare in Europa.

Vede nell'attuale situazione economica italiana un qualche punto di contatto con quella argentina?
La crisi economica italiana dipende dal fatto che il modello keynesiano, che ha reso possibile le ricostruzioni e lo sviluppo nella seconda metà del '900, regge in situazioni nelle quali il mercato interno può assorbire ricchezza e beni di consumo grazie ad aumenti dei salari e ad una contenuta inflazione. La domanda di beni è oggi molto più alta in paesi a livelli salariali bassissimi e con lavoratori colti e qualificati. Questi paesi attraggono capitali anche italiani, perché è possibile produrre a prezzi più bassi e vendere di più. La situazione in Italia è simile a quella di altri paesi molto sviluppati ed è molto diversa da quella dell'Argentina: in Italia infatti c'è crisi di domanda, in Argentina la crisi è dell'offerta.

Cosa è stato per lei più significativo della sua esperienza in Argentina?
La conoscenza di una cultura insieme simile e diversissima da quella italiana e il "toccare con mano" l'importanza che ha la cultura ispanica per gli italiani. È stata un'esperienza ricca e gratificante che rifarei. Non credo però che in Italia e in Europa ci si renda pienamente conto di quanto avviene e di che cosa è l'Argentina e penso che il modo per conoscere veramente questo paese sia di studiare lo spagnolo, la storia, la geografia, la letteratura, l'arte, la musica argentina e di incontrare la gente argentina.

 

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Num 34 Marzo 2004 | politicadomani.it