Pubblicato su Politica Domani Num 33 - Febbraio 2004

Il commento
Strategie USA
Potranno i candidati democratici battere il presidente uscente? La lotta sembra impari, come quella di Davide contro Golia

di Marianna Bartolazzi

Fino alle primarie del 2 marzo negli Stati Uniti c'è una sola certezza: si ha più fiducia in una sconfitta di Bush che nella vittoria di uno qualsiasi dei candidati democratici.
Il partito democratico che si presenta in questa tornata di elezioni presidenziali somiglia piuttosto ad un insieme di correnti divise da rancori e distanti fra loro perfino nel giudizio sulla guerra in Iraq. Le unisce uniti solamente l'opposizione alla politica di Bush. I candidati democratici non si assomigliano neanche un po', ma tutti hanno la stessa preoccupazione: attaccare un "presidente di guerra" può essere un'arma a doppio taglio, in un paese patriottico e orgoglioso come gli Stati Uniti. Ad essere troppo critici si rischia di passare dalla parte di Saddam agli occhi dell'opinione pubblica.
Dietro la scusa del "sacrificio di guerra", argomentazione sempre valida, Bush può far passare presso l'opinione pubblica statunitense come necessarie e ben riposte le spese per la conquista di Marte, della Luna e di tutto il sistema solare (prima o poi). Anche lo stanziamento di un miliardo e mezzo di dollari alla destra cristiana, per "rafforzare la famiglia tradizionale", diventa uno strumento elettorale così come la spesa di 400 miliardi di dollari in un programma di rimborso delle medicine agli anziani, senza però un reale progetto di sostegno agli anziani. Non importa se si allarga senza confini il buco nero del bilancio federale. Tutto è permesso, perché c'è la guerra e occorre stringersi accanto al Presidente. Bush, inoltre, nonostante l'opposizione, anche popolare, contro la sua politica può spiazzare qualsiasi avversario, da qui alle votazioni di novembre con una serie di semplici mosse politiche strumentali volte a sottrarre argomentazioni alle contestazioni degli avversari. Può accelerare, ad esempio, il passaggio dei poteri agli iracheni, naturalmente non prima di luglio, indipendentemente da quante vittime fra i militari USA potranno ancora esserci; sostenere il lavoro della commissione di inchiesta sulle armi di distruzione di massa, che naturalmente si pronuncerà solo dopo le votazioni di novembre; inventarsi infine qualche altra ragione di crisi gravissima per il paese, le opportunità non mancano, basta solo coglierle, magari favorendole pur di mantenere il potere.
In questa battaglia senza esclusione di colpi, mentre i candidati democratici si battono giornalmente per la ricerca di finanziamenti per la campagna elettorale, Bush può contare sui finanziamenti dei soliti ricchi magnati riconoscenti: grazie all'ultima finanziaria sono loro che pagheranno meno tasse; a loro sono andati i finanziamenti per le spese di guerra e sono sempre loro che si sono aggiudicati i contratti per la ricostruzione dopo la guerra.
Il risultato di questa politica "accorta e previdente" la differenza di sono gli oltre 100 milioni di dollari di differenza fra il budget della campagna presidenziale del presidente un carica (149 milioni di dollari) con il più "ricco" dei candidati democratici, Dean (41 milioni di dollari). Per ora.

 

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