Pubblicato su Politica Domani Num 33 - Febbraio 2004

La Riforma dell'Università
Professori e ricercatori, tutti precari
Il nuovo stato giuridico dei professori universitari si traduce in gran parte in una precarizzazione della funzione docente

di Alberto Foresi

È approdata in questi giorni in Parlamento, per la sua discussione e approvazione, la legge delega concernente il riordino dello stato giuridico dei professori universitari e non sono mancate le immediate proteste da parte dei diretti interessati, proteste che si sono concretizzate nell'occupazione dell'Università "La Sapienza" di Roma ad opera di professori e ricercatori, evento questo senza precedenti nella storia dell'Università italiana.
In primo luogo la nuova legge attua una netta divisione tra i due ruoli in cui è attualmente diviso il personale docente dell'università. Sparisce il ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato, destinati ad esaurimento, sostituiti da ricercatori con contratto quinquennale, rinnovabile una sola volta, stipulato autonomamente da ogni singola università. I posti sono attribuiti tramite concorso pubblico gestito dall'università, la quale stabilisce anche le modalità concorsuali e i criteri di valutazione, purché rispondenti alle direttive generali emanate dal Ministero della ricerca scientifica. In pratica si semplifica l'accesso ai primi gradini del mondo della ricerca universitaria, fino ad ora lo scoglio più duro in quanto il concorso per ricercatore, consistente nella valutazione dei titoli scientifici, in due prove scritte ed un colloquio, è senza dubbio il più difficile da superare; difficile anche perché, essendo rivolto solitamente a giovani studiosi, richiede conoscenze che si acquisiscono con anni di studio e di ricerca. Tali incarichi, tuttavia, vengono con la riforma in atto resi a tempo determinato, a differenza del vecchio ruolo del ricercatore, il quale, dopo una valutazione a conclusione di un triennio di prova, aveva un inquadramento a tempo indeterminato. In pratica potrebbe accadere che, dopo dieci anni di attività, un ricercatore, se non avrà conseguito l'idoneità a professore, sarà di fatto licenziato dall'università. A parziale indennizzo di ciò, il medesimo soggetto otterrebbe un incarico a tempo indeterminato nelle scuole superiori. Sottolineiamo che tale incarico è da ritenersi quale soluzione di ripiego e difficilmente un valido laureato, con buone possibilità di occupazione in altri ambiti, accetterebbe di esporsi a tale rischio. Rimane anche indefinito quale retribuzione spetterebbe a questi nuovi ricercatori. Se, come appare probabile, il loro stipendio verrà equiparato a quello iniziale dei ricercatori del vecchio ruolo, pari a circa 1000 euro netti al mese, senza dubbio sarà improbabile che un ingegnere o un chimico accettino simili condizioni, aggravate inoltre dalla precarietà dell'incarico.
Profonde modifiche sono anche apportate riguardo al reclutamento dei professori di prima fascia (ordinari) e di seconda fascia (associati). Per il conseguimento dell'idoneità scientifica nazionale, necessaria per ricoprire tali ruoli, il Ministero bandirà, con cadenza biennale e alternativamente per le due fasce, dei pubblici concorsi. Il Ministero definirà anche il numero massimo di idonei per ciascun concorso in base alle richieste provenienti dalle varie università, i requisiti scientifici e professionali per ciascuna fascia e designerà i membri delle commissioni giudicatrici. La durata dell'idoneità conseguita non sarà superiore ai cinque anni, al termine dei quali decadrà. Per coprire i posti di professore ordinario ed associato, le università attueranno una selezione, con modi e procedure autonomi, fra coloro che sono in possesso dell'idoneità. Ai prescelti verrà conferito un contratto a tempo determinato della durata di tre anni, rinnovabile fino ad un massimo complessivo di sei anni. Le università hanno facoltà, se i detentori di tali contratti si riveleranno atti alla docenza, di tramutare i contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato, previa una valutazione di merito secondo prassi autonomamente stabilite, nominando in ruolo i medesimi docenti. Anche in questo caso, in caso cioè di mancata immissione in ruolo, i docenti possono ottenere un incarico presso le scuole superiori o, eventualità più probabile, avere titolo preferenziale per l'accesso alla dirigenza pubblica. I professori sono tenuti ad un impegno di 350 ore annuali, di cui 120 dedicate all'attività didattica, carico orario quest'ultimo ritenuto dai docenti eccessivo in quanto pregiudicherebbe lo svolgimento di attività di ricerca.
Allo stato attuale, in attesa delle modifiche che saranno apportate e, in particolare, della verifica sul campo del nuovo ordinamento, è difficile esprimere un giudizio di merito su tale legge di riordino. In positivo si segnala che viene facilitato l'accesso alla ricerca, anche se, per i problemi su esposti, non è detto che ad essa si dedicheranno gli elementi migliori. Il nuovo ordinamento dovrebbe inoltre comportare il gravare economico dei professori nuovamente sull'amministrazione centrale del Ministero e non più sulle singole università, favorendo così la mobilità dei docenti da una sede all'altra, evento questo attualmente quasi impossibile. Riguardo al reclutamento dei docenti, l'istituzione di commissioni uniche nazionali potrebbe in parte intaccare il sistema attuale basato spesso su cordate e baronaggi vari. È pur vero che l'idoneità non dà diritto ad ottenere un incarico e, di fatto, l'autonomia, e anche l'arbitrio, di ogni singola università rimangono immutati se non addirittura potenziati. Infine è evidente che siamo di fronte ad un processo di precarizzazione di ogni ambito della docenza universitaria, processo che, sebbene (forse) ispirato a principi di valorizzazione del rendimento e finalizzato ad evitare assenteismi, espone il sistema universitario italiano a vari rischi, primo fra tutti quello di disincentivare gli studiosi migliori ad intraprendere attività di ricerca nel settore dell'istruzione pubblica.

 

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Num 33 Febbraio 2004 | politicadomani.it