Pubblicato su Politica Domani Num 33 - Febbraio 2004

Editoriale
In nome della libertà?

di Giovanni Gennari

La Francia proibisce per legge il velo islamico nelle scuole, e insieme ogni segno che "ostenti" in pubblico l'identità religiosa. È realtà di questi giorni. Seguono fiumi di parole. Pare semplice dire la propria? A prima vista sì. E viene spontaneo il no al provvedimento. Il velo islamico, infatti, non è il burqa, che occulta del tutto il volto e l'identità della donna, ma poco più di un foulard…Che male c'è, a portarlo? Il laicismo francese sta esagerando, tanto più che nella legge paiono mettersi le basi per proibire anche le croci al collo, la kippà ebraica, il turbante agli indù e - scritto esplicitamente nel testo circolato sulla stampa - "un certo tipo di pelosità" che possa indicare l'adesione ad una religione… Anche la tonsura di preti e frati? Anche la rasatura di rabbini e imam? Anche i piedi scalzi dei Carmelitani? Si sta esagerando…
No, dunque, in nome della libertà personale, e anche di quella di religione e di cultura.
E infatti i no sono stati tanti, da cittadini, parlamentari, uomini di chiesa come il cardinale arcivescovo di Parigi, Lustiger. Questa volontà di cancellare l'identità religiosa dal panorama pubblico può essere pericolosa… Si potrebbe dare il caso che qualcuno voglia proibire anche la circoncisione, con l'argomento che in certe circostanze può violare la laicità degli spazi pubblici e la riservatezza della identità religiosa, che deve restare del tutto privata. Allora no!
Tutto chiaro, dunque? Non del tutto. Una proibizione del genere potrebbe infatti essere preziosa, e benedetta anche in senso laico, se si pensa che così si potrebbe ostacolare meglio la tragica realtà della escissione femminile, praticata negli ambienti musulmani, e che è una vera e propria forma di barbarie maschilista e di dominio crudele ed ingiusto, segno di un'arretratezza odiosa e causa di immensi dolori. Una proibizione per legge della mutilazione femminile, che troppo spesso si pensa implicita ed è data come scontata, sarebbe benvenuta, e andrebbe nella direzione giusta di una progressiva liberazione della donna e di una autentica società in cui eguaglianza e parità non siano solo parole.
Allora sì? Calma. Se uno pensa che una legge del genere farebbe in modo che molte famiglie islamiche, sotto il dominio maschile, non invierebbero più le ragazze nelle scuole, preferendo o tenerle nell'analfabetismo o inviarle nelle scuole esplicitamente islamiche, si rende conto che così non solo non si favorirebbe l'integrazione, ma le si creerebbe un ostacolo ancora maggiore, e chissà per quanto tempo e con quali conseguenze… E questo varrebbe anche per le altre religioni: giovani barbuti, ragazze velate, chi vuol portare croci al collo, la kippà o il turbante in testa dovrà rifugiarsi nelle scuole confessionali più o meno riconosciute, più o meno sovvenzionate dallo Stato, e sarà un bell'ostacolo all'integrazione piena e allo scambio di culture e di parità vera… Del resto perché proibire i segni di identità religiosa e non quelli, per esempio, di identità politica? Se si ha diritto a manifestare in pubblico la propria scelta politica e ideale, perché non vale lo stesso anche per l'identità religiosa o non religiosa…?
Del resto, e in particolare per quanto riguarda l'Islàm, è certo che nelle tradizioni famigliari, dove si tende a nascondere la donna e i suoi diritti, lasciare libertà di velo alle ragazze non vuol dire automaticamente rispettare davvero la libertà loro. Si corre infatti il rischio di dare ancora un appoggio al dominio maschilista e oppressivo di padri, o anche di fratelli, che costringe le donne al velo, lo stesso che è poi alla radice del fenomeno della escissione, e della totale mancanza di parità là dove la legge viene fatta esclusivamente su misura del Corano, o piuttosto delle sue tradizioni culturali che si perpetuano nei secoli. Il ritardo di tempo - almeno sei secoli - e la mancanza di successive "rivoluzioni" sia religiose (come l'interpretazione non letterale del "libro", che i cristiani hanno raggiunto da un paio di secoli), che secolari, filosofiche e politiche (come le rivoluzioni francese ed americana, con tutto il bene e il male che le hanno accompagnate), fanno sì che il mondo islamico ci appaia e sia ancora lontano da una autentica visione laica, che per essere tale, e non laicista né clericale, deve salvare la pienezza della identità religiosa e la pienezza delle distinzioni tra Dio e Cesare…
Il vero discorso allora, forse, è che con una legge dello Stato non si crea automaticamente un costume, e che l'integrazione, la libertà di coscienza, il raggiungimento della parità tra le coscienze, l'autentica "laicità" della società e dello Stato sono e debbono essere il frutto di un lavorìo di ogni giorno, non delegabile né allo Stato né alle religioni. È un discorso che deve investire tutta la realtà sociale, scuola, politica, leggi, etica pubblica e privata, cultura e mezzi di comunicazione… E allora tutto è davanti a noi, ogni giorno. Con buona pace di leggi e codici…

 

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