Pubblicato su Politica Domani Num 33 - Febbraio 2004

Ricostruzione in Iraq
Cha fine hanno fatto le FS?
Storia poco nota di come si sgonfia un grande "affare"

di Maria Mezzina

Chissà che fine ha fatto, se va avanti o se, invece, è stato dimenticato in qualche cassetto (probabilmente oltreoceano) uno dei più interessanti progetti di ricostruzione in Iraq nel quale era stata inizialmente coinvolta anche l'Italia.
Si tratta del progetto di costruzione di una rete integrata di trasporti (ferrovia + metropolitana) nell'Iraq del dopoguerra. La notizia - di cui non compare traccia sui mass media nazionali - avrebbe meritato ben altro rilievo, sia per l'entità dell'impegno economico, sia per le prospettive collegate al progetto, sia per i tempi in cui è stato deciso l'intervento.
Partiamo dall'inizio. Maggio 2003, il presidente americano Bush ha appena dichiarato conclusa vittoriosamente la guerra contro Saddam. Occorre ricostruire l'Iraq sul modello dei più avanzati paesi occidentali. La rete di comunicazione ferroviaria è uno dei cardini dello sviluppo del paese. Per il trasporto del petrolio bastano gli oleodotti, ma la modernizzazione passa attraverso la mobilità delle persone e la loro capacità di spostarsi attraverso il paese e verso i paesi confinanti. Ovvio che uno dei compiti più importanti e prestigiosi sia quello della ricostruzione della rete delle comunicazioni.
Dagli USA partono i primi contatti per l'assegnazione degli incarichi. L'Italia ha una grande esperienza in fatto di ferrovie e il capo del Governo, il presidente Berlusconi, si è dato non poco da fare per vestire il ruolo di alleato degli USA nella guerra. Ovvio, quindi, che il governo americano si sia rivolto all'Italia per studiare un progetto generale di ristrutturazione e di ampliamento dei trasporti.
La decisione di avere l'Italia come partner in questo aspetto della ricostruzione in Iraq deve essere stata presa ancora prima della "fine" della guerra, dal momento che tecnici italiani dell'ANAS e dell'Italferr (la società di ingegneria delle FS) erano in Iraq per i necessari sopralluoghi già a maggio (fonte ASA Press n°1275).
L'incarico ufficiale è affidato all'Italia da Paul Bremer, americano, capo del governo provvisorio iracheno, e consiste nella stesura di un piano generale di trasporti in Iraq, gli accordi prevedono che il piano sia ultimato entro settembre 2004.
Il gruppo di lavoro italiano, che dipende dal ministro Lunardi ed è coordinato da Ettore Incalza, l'autore del primo piano generale dei trasporti italiani del 1986, si mette subito al lavoro; oltre ad ANAS e Italferr fanno parte del gruppo anche l'Enac (aviazione civile) e l'Enav (assistenza al volo).
Dopo la ricognizione di maggio, il gruppo italiano stila una lista di priorità consistente in 24 interventi per un costo complessivo di 45,85 miliardi di euro. Di questi, 7,5 miliardi saranno destinati per la metropolitana di Baghdad, 1,7 per quella di Mosul e 1,8 per quella di Bassora; 8 miliardi andranno alla linea ad alta velocità Bassora-Baghdad-Mosul e complessivamente 3,8 miliardi agli adeguamenti dei collegamenti ferroviari Mosul-Turchia e Baghdad-Giordania; 3,8 miliardi finanzieranno la costruzione delle autostrade Mosul-Ankara e Baghdad-Amman e 5,5 miliardi l'adeguamento della viabilità minore; 4,9 miliardi serviranno per rendere navigabili il Tigri e l'Eufrate e 2,45 miliardi per la realizzazione di quattro hub interportuali per lo scambio di merci e per l'adeguamento del sistema interportuale.
Alle spese dovrebbe partecipare il Governo italiano con 1,3 milioni di euro e il governo provvisorio iracheno con 300.000 dollari.
La speranza del Governo italiano è (era?) che questo sia solo l'inizio di un più consistente impegno dell'Italia nella ricostruzione del sistema delle infrastrutture iracheno. Un impegno che, dopo questo primo passo di stesura di un piano generale e di studi di fattibilità, veda le imprese italiane concretamente impegnate nei grandi progetti di ricostruzione e ammodernamento individuati e messi su carta dal gruppo di lavoro di Lunardi e Incalza.
Le cose però non vanno esattamente come sperato.
Poco più di un anno prima, nel gennaio 2002, prima della crisi che avrebbe poi portato alla guerra, l'Iraq aveva concluso un accordo con l'India per l'esecuzione di 14 progetti. Fra questi vi era la costruzione di 250 km di linea ferroviaria da Baghdad a Mushaba e una modernissima rete di skybus a Baghdad. Due progetti del valore di 2,7 miliardi di dollari in cambio di petrolio. Si attendeva soltanto l'ok dell'ONU, a causa delle sanzioni a cui era soggetto l'Iraq.
Cosa è successo di quell'accordo? Gli USA, a detta del Pakistan Daily Times del 22 febbraio 2003, avevano promesso la cancellazione del debito di 2,5 miliardi di dollari che l'India deve (doveva?) all'Iraq, in cambio del suo sostegno all'attacco USA e una parte principale nel processo di ricostruzione della rete ferroviaria, considerata - si disse - l'esperienza accumulata dalle compagnie indiane in Iraq.
Dalle ultime notizie (17 gennaio 2004) risulta che il Dipartimento della Difesa statunitense ha incaricato Rick Degman, già manager dell'Amtrak - la più grande impresa di trasporto ferroviaria negli USA -, della ricostruzione della ferrovia irachena. È del 21 gennaio 2004 la notizia che è stato completato il piano di ricostruzione della rete ferroviaria in Medioriente (fonte IMRA) e che tutti gli studi di fattibilità sono stati conclusi dai paesi interessati.
Il prossimo incontro sulla organizzazione della ferrovia in Medioriente è previsto a Damasco (Siria) in marzo o aprile.
In tutto ciò qual'è il ruolo dell'Italia? Un progetto generale di ricostruzione è solo una base da cui partire per i veri progetti, quelli che impegnano le imprese creando lavoro con gli investimenti in ricerca, tecnologia e risorse umane ed economiche. Non sembra però che l'Italia sia impegnata in questa fase della ricostruzione in Iraq, nonostante le premesse (e, molto probabilmente, le promesse). Se scambi ci sono stati, questi sono rimasti ai vertici; nessuna ricaduta reale c'è veramente stata. Intanto, nella speranza di qualche vantaggio, i nostri ragazzi continuano a rischiare la vita in Iraq. Ne vale veramente la pena?

 

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