Pubblicato su Politica Domani Num 33 - Febbraio 2004

Ricostruzione in Iraq
Bechtel, asso pigliatutto
A un anno dall'inizio del conflitto la ricostruzione in Iraq ha la consistenza di un miraggio. Intanto negli appalti la multinazionale statunitense la fa da padrona

di Alessio Fatale

Anni di dittatura che hanno ridotto il paese allo stremo. Una guerra e, finalmente, la liberazione dal dittatore. Ed ora gli attentati terroristici che seminano ancora morti e distruzioni, tanto più devastanti in quanto colpiscono alla cieca e senza preavviso. La via verso la pace è ancora abbondantemente minata.
Il presidente Bush aveva dichiarato a suo tempo che la ricostruzione doveva essere affidata agli stessi iracheni. Le guerre però costano, oltre che in vite umane, in denaro sonante (quest'ultima circa 100 miliardi di dollari). Nulla di straordinario, quindi, se il presidente americano, data la difficile situazione economica in cui versano gli Usa, non stia rispettando i patti e cerchi di rientrare nelle spese. Come? Premendo per una ricostruzione tutta made in USA.
È la Bechtel, super-industria americana, che si è aggiudicata sinora il più importante contratto per la ricostruzione dell' Iraq (680 milioni di dollari) e che sta organizzando incontri con potenziali sub-fornitori per affidare loro settori specifici. Un settore particolarmente interessante potrebbe essere quello ferroviario ed in particolare il ripristino e successivo potenziamento della tratta ferroviaria Umm al Qasr (unico porto dell'Iraq)-Bassora-Bagdad; una tratta strategica per quanto attiene sia il trasporto di materiali che di petrolio. Il contratto con la Betchel è stato firmato il 17 aprile 2003, ed è stato tenuto nascosto alla stampa e all'opinione pubblica americana. Altri settori chiave su cui la Betchel si è assicurata il controllo sono: l'elettricità, la distribuzione dell'acqua e la rete fognaria.
Come mai la Bechtel primeggia in solitudine in quest'affare della ricostruzione in Iraq?
Sulla Bechtel i primi ad aprire un'inchiesta furono i giornalisti tedeschi della Die Tageszeitung nel dicembre 2002. A seguito dell'inchiesta sulle armi di sterminio in possesso dell'Iraq, lo stato arabo stesso fornì una lista di armi e di ditte fornitrici. Il rapporto, di circa 12.000 pagine, fu inizialmente tenuto segreto. Finì però nelle mani dei giornalisti tedeschi. Tra le ditte fornitrici figurava appunto la Bechtel: negli anni '80 l'azienda aveva venduto all'Iraq armi convenzionali, strumenti per la logistica, rifornimenti per il ministero della difesa iracheno e perfino appalti per la costruzione di strutture militari.
Va detto che la Bechtel è una delle aziende di punta nel contesto del complesso industriale e militare a stelle e strisce. Miliardi di dollari finiscono nelle casse della multinazionale grazie a contratti stipulati con il Dipartimento per l'energia e quello per la difesa statunitensi. Probabilmente perché la Bechtel ha nel suo Consiglio d'Amministrazione l'ex-segretario di stato americano George Shultz. Una vera e propria multinazionale imperialista nel periodo della globalizzazione.
A pochi sfuggirà l'ironia di una multinazionale che fa soldi prima, durante e dopo il conflitto iracheno. Prima, perché fornisce gli iracheni con le strutture militari per i loro programmi di armi di sterminio. Durante, perché quei programmi necessitano della ricerca contro il terrorismo da parte degli Stati Uniti, programma di ricerca in parte appaltato alla Bechtel. E dopo, perché una volta raso al suolo l'Iraq, sarà ancora la Bechtel a riparare i danni.
I miliardi della ricostruzione in Iraq di dissolvono in frodi e corruzione e sono sperperati in interventi del tutto inefficaci. Una commissione d'inchiesta, dopo tre settimane di visite sul posto, ha scoperto che in otto mesi i lavori sulle infrastrutture fondamentali come le fabbriche, la sanità, la rete telefonica, l'acqua, le fogne, o non erano stati fatti, o erano stati fatti così male che nulla funzionava. Gli appalti vengono talmente parcellizzati in subappalti che, per esempio, un poliziotto iracheno percepisce circa un decimo della paga prevista per il suo salario. E i cuochi indiani di Halliburton (un'altra multinazionale miliardaria vincitrice di numerosi contratti in Iraq) ricevono una paga di tre dollari al giorno. Dei 2,2 miliardi di dollari ricevuti da Halliburton, continua il rapporto, solo il 10% è usato per soddisfare i bisogni della popolazione irachena, il resto viene speso in servizi per le forze armate statunitensi e per costruire oleodotti. Senza parlare, poi, dei 40 milioni di dollari spesi dalla compagnia in inutili ricerche delle armi di distruzione di massa.
(informazioni e dati si trovano su Southern Exposure, winter 2003/2004)

 

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