Pubblicato su Politica Domani Num 33 - Febbraio 2004

Memoria e giustizia
L'Armadio della vergogna
Apre i battenti la Commissione Parlamentare d'inchiesta sull'occultamento dei fascicoli sui crimini nazifascisti

di Fabio Antonilli

Dopo molte polemiche, lo scorso mese di novembre sono stati formalmente avviati i lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti trovati in un armadio di Palazzo Cesi, sede del Tribunale Militare, nell'estate del 1994 a Roma. Il 4 dicembre, poi, nel corso della prima audizione è stato sentito proprio colui che ritrovò casualmente i dossier, il procuratore militare Antonino Intelisano, mentre era alla ricerca di prove a carico del capitano delle SS Eric Priebke.
In quello che è stato definito "l'Armadio della vergogna" c'erano dei documenti, archiviati - solo "provvisoriamente" fu detto - nel 1960, che provano l'elenco delle atrocità commesse dai nazisti contro i civili italiani tra l'8 settembre 1943 e l'aprile del 1945. Si tratta di 695 fascicoli relativi a crimini di massa che riguardano più di 15.000 morti. L'archiviazione, seppur definita "provvisoria", ha fatto in modo, però, che il tempo trascorresse ugualmente senza che nulla fosse chiarito così che, a distanza di tanti anni, molti dei soggetti coinvolti, testimoni e carnefici, sono morti o, se vivi, troppo anziani e quindi non proprio lucidi nel ricordare.
Dopo 44 anni dalla "chiusura", la Commissione bicamerale presieduta da Flavio Tanzilli avrà il compito di far luce sulle responsabilità politiche, e cioè di dare un nome a chi decise, quando, perché e con l'appoggio di quali autorità, di sottrarre alla giustizia una così importante documentazione che contiene informazioni precise sui luoghi, le vittime, gli accusati, i testimoni, frutto di una meticolosa ricerca degli alleati inglesi allora in Italia.
Secondo Mimmo Franzinelli, storico, che ha scritto un libro sulla vicenda, dietro l'occultamento e la copertura dei responsabili c'era la continuità tra fascismo e democrazia nell'amministrazione della giustizia, per la presenza di magistrati che si erano formati professionalmente e culturalmente sotto la dittatura. Da questa tesi si distanzia il giornalista Franco Giustolisi, firma storica de "L'Espresso", il quale, occupatosi a lungo del caso, non imputa l'occultamento alla mentalità dei burocrati di allora ma guarda oltre. La motivazione, afferma, va ricercata nella "ragion di stato", cioè nella necessità politica di allora di far scomparire quegli scomodi documenti. Questa argomentazione è stata avallata da alcune dichiarazioni di Paolo Emilio Taviani. L'ex ministro Dc, poi senatore a vita, che era stato anche presidente dei partigiani cattolici, disse che "un processo per quegli orrendi crimini avrebbe colpito l'opinione pubblica e impedito, forse per molti anni, la possibilità che l'esercito tedesco risorgesse dalle ceneri del nazismo". In altre parole, finita la Seconda Guerra Mondiale era iniziata la Guerra Fredda, e la Nato aveva bisogno delle forze armate tedesche in funzione anti-Urss. La Germania era un alleato-chiave sul quale era meglio che l'ombra del nazismo si dissolvesse in fretta, gli Usa premevano e Roma si adeguò senza indugiare.
Tirando le somme, di circa 400 casi di stragi accertate solo una decina diedero luogo a un processo; due esempi sono la condanna di Herbert Kappler per le Fosse Ardeatine e di Walter Reder per Marzabotto.
Si tratta, indubbiamente, del caso più grave di eccidi commessi in Italia e rimasti impuniti. È, oltretutto, la complicità dei "ragazzi di Salò" ad alimentare "un ricordo lacerante che resiste ad ogni tentativo di pacificazione", ha fatto notare lo storico Giovanni De Luna, che ha definito la vicenda "una ferita alla memoria che a lungo ha pesato sulla possibilità di costruire una visione solidale della tragedia della guerra civile: le vittime possono anche perdonare i carnefici, possono anche comprenderne le ragioni, a patto però che i carnefici paghino le loro colpe, riconoscano i propri torti e che la giustizia sottragga il contenzioso tra torti e ragioni alle faide e ai rancori privati".

 

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