Pubblicato su Politica Domani Num 32 - Gennaio 2004

Pronostici
Non lo abbiamo eletto noi
Novembre 2004, negli Stati Uniti si vota per il Presidente. Giulietto Chiesa, voce libera del giornalismo italiano, prova a fare dei pronostici sulla rielezione di Bush

di Giulietto Chiesa

Non l'abbiamo eletto noi.
Per la verità non l'hanno eletto neppure loro. Intendo dire gli americani. Più precisamente gli elettori degli Stati Uniti d'America, che sono poi un terzo all'incirca di quelli che ne avrebbero diritto, e che quindi non praticano questa strana e sempre più superflua attività rappresentata dall'esercizio del diritto di voto. È esatto: non l'abbiamo eletto noi, non l'ha eletto nessuno.
Eppure è diventato presidente degli Stati Uniti d'America, e imperatore del pianeta. Anche nostro, visto che le sue decisioni sovrane (termine proprio) sono di fatto determinanti per i destini di tutti. Ora - se noi vivessimo in un posto normale - qualcuno cercherebbe di spiegarsi come mai uno che ha perso le elezioni si trovi nella posizione di chi le ha vinte. E altrettanto dovremmo chiederci chi ce lo ha portato, in quel posto, e perché ci voleva lui, in quel posto, invece del legittimo vincitore che si chiama Al Gore. Ma non viviamo in un posto normale. Tant'è vero che nessuno - nemmeno i più importanti commentatori politici (non parlo dei politici, che sanno tutto ma, essendo solidali, non hanno la minima intenzione di parlare di queste cose così imbarazzanti) - si sogna di sollevare questa questione. Anzi, molti di loro, quasi tutti, fanno finta di trovarsi di fronte a un imperatore vero, consacrato al potere dalla volontà del Popolo.
E, pertanto, prendono sul serio tutto quello che dice, anche gli strafalcioni, anche la sua palese incapacità di capire le cose più elementari, anche la sua bigotteria, anche quel suo camminare a gambe larghe come un cowboy, che se non fosse imperatore farebbe ridere perfino i cavalli del Texas. Tutti zitti a credere, a chiosare, ad avallare, quando non a esaltare, a osannare, a inginocchiarsi. Per questa ragione l'impostore, portato alla carica di imperatore FF, è divenuto il nostro imperatore tout court. E quest'anno si annuncia fatale per tutti noi, perché quest'anno, nella prima settimana di novembre, George Bush sarà rieletto (anzi eletto per la prima volta) imperatore. E la sua legittimazione, per quanto truffaldina (perché costruita in anticipo, con l'inganno, con il terrore infuso nei cromosomi di quello scarso 15% di americani che lo voteranno), lo farà diventare molto più pericoloso di quanto non sia già stato per le sorti della Terra. Non solo degli individui che la abitano, ma della Terra in quanto pianeta, in quanto natura, in quanto alberi e acque e atmosfera, e tutto quanto ci serve per vivere.
So già l'obiezione che qualcuno può muovere: non si può azzardare una tale previsione con tanto anticipo. Troppe cose possono ancora accadere, da qui a novembre. Concordo. E anticipo l'elenco delle cose che potranno accadere e, accadendo, potranno frapporsi come macigni sulla strada della "rielezione" di George W. Arbusto. La guerra irachena, in primo luogo, sta andando male, malissimo. Era stata vinta così bene, così velocemente, praticamente senza morti "alleati". Ma da mesi i morti "alleati" si moltiplicano, il governo di quisling messo in piedi dal vincitore non riesce a mettere il naso fuori dai bunker nei quali è sepolto in permanenza. La cattura di Saddam si rivela peggiore del suo permanere in libertà, perché gli sviluppi militari in Irak dimostrano che Saddam Hussein non era il motore della resistenza.
Cioè confermano i sospetti di molti: che si tratta di una resistenza diffusa, molto bene organizzata, che da tempo agiva a prescindere da Saddam Hussein (già a sua volta prigioniero dei curdi). Chi la guida molto difficilmente potrà essere catturato, perché non si può catturare la dignità di un popolo intero, per quanto esso sia diviso in etnie e confessioni diverse. Cioè tutto annuncia che la guerra continuerà molto a lungo, impedendo a Washington di imporre il proprio ordine al paese occupato nei tempi imposti dalla campagna elettorale americana. George W. Arbusto ha già annunciato che si ritirerà dall'Irak nell'estate prossima, ma come ritirarsi se il governo che intende instaurare non sarà in condizione di uscire dal bunker? E come restare, con 150 mila uomini sul terreno, con lo stillicidio dei cadaveri che ritornano in patria, in piena campagna elettorale, con i democratici che cominciano a uscire dal bozzolo e a criticare la guerra che avevano avallato? Quali potranno essere gli effetti di questa disfatta (perché, in ogni caso, ormai, l'Irak è una disfatta per George W. Arbusto) sull'esito elettorale?
Non favorevoli: questo è un verdetto esatto. Condivido. Nemmeno la guerra afghana procede tra fanfare di vittoria. La Loja Jirga approverà la Costituzione, ma la stabilità non è stata raggiunta, i taliban sono dovunque, non solo nel sud, il Pakistan è destabilizzato e - dovesse cadere Musharraf - nessuno sa quali esiti potrebbero derivarne. Tutto indica che Washington controlla la situazione a fatica e sporadicamente. Per non parlare dei rapporti interatlantici.
La frattura, tra l'attuale Amministrazione americana e quella che Donald Rumsfeld ha spregiativamente definito la "vecchia Europa" non solo non è stata sanata, ma nulla lascia intravvedere un miglioramento. L'effetto post-Irak è stato quello di accelerare la creazione di una forza militare europea che, comunque la si voglia interpretare, significa l'inizio di un'alternativa rispetto alla Nato. Tutte cose niente affatto irreversibili, s'intende, ma segnali che non possono piacere a Washington. Il dollaro scende rispetto all'Euro, il che fa comodo a Bush, ma solo fino a un certo punto, perché questo accresce il "prestigio" dell'Euro e distrae gl'investitori dalla loro ossessione pluridecennale, rappresentata dalla calamita Wall Street. In ogni caso il colpo basso della svalutazione unilaterale del dollaro accresce le frizioni interatlantiche, accentuando l'idea ormai corrente che questi Stati Uniti stanno diventando i disturbatori della quiete mondiale, non solo in senso militare ma anche in senso economico. Condivido anche queste valutazioni. Difficile valutare quanto questi aspetti possano influire sull'andamento elettorale americano. Non molto, probabilmente; non automaticamente a vantaggio di George W. Arbusto.
A meno che non incidano sul livello dei consumi del ceto medio statunitense. Questo è il centro delle preoccupazioni dei neo-con [neo conservatori] e sarà sicuramente la loro carta principale. E qui passiamo al rovescio della medaglia, che mi conduce a confermare la previsione. George W. Arbusto non decide niente, ma quelli che attorno a lui prendono le decisioni sanno perfettamente che la crescita americana è drogata e inesistente. Drogata da tagli fiscali che hanno ulteriormente aggravato gli squilibri tra ricchi e poveri negli stessi Stati Uniti; falsata dalla eccezionale crescita della spesa (statale) militare. La spesa sociale sarà ulteriormente penalizzata. La credibilità del "sistema" USA, cioè del modello americano è in crisi negli stessi Stati Uniti. Una buona metà degli Stati dell'Unione sono a loro volta sull'orlo della bancarotta dopo avere giocato in borsa i risparmi dei loro cittadini. L'indebitamento USA cresce a dismisura, ormai non più compensato (com'è avvenuto nell'ultimo ventennio) da straordinari afflussi di capitali dal resto del mondo, al ritmo medio annuo di 600-700 miliardi di dollari all'anno.
È la strada verso la bancarotta economica statunitense, ma non ci si può aspettare di meglio dal gruppo di avventurieri che ha preso il potere a Washington. Pensare che essi possano mettere a repentaglio le loro sorti elettorali tentando un risanamento delle finanze statunitensi è cosa senza senso, e può essere messa nel conto delle previsioni solo se si è trascurato di capire cosa è accaduto negli Stati Uniti nell'anno 2000 e 2001. Dunque il 2004 si snoderà davanti ai nostri occhi come un anno di "successi" economici di George W. Arbusto. Gli americani saranno spinti a consumare, meglio e più di quanto hanno fatto fino ad ora, oltre alle loro possibilità di spesa, oltre alle capacità di equilibrio del sistema America. Fino al novembre, cioè fino al voto. Poi sarà la Provvidenza neo-con a trovare qualche altro diversivo, qualche gioco di prestigio. L'altra componente della vittoria di George W. Arbusto è anch'essa già delineata. E si chiama terrore.
C'è un solo modo, oltre al livello di consumi sempre più smodato, che può spingere gli americani a votare per Bush: convincerli che un pericolo mortale minaccia i loro consumi e il loro standard di vita. E che, per sconfiggerlo, occorre un condottiero capace di continuare a vincere, così come ha già fatto in Afghanistan e in Irak. Se Afghanistan e Irak non vanno troppo bene, allora si agirà in modo che le sconfitte appaiano vittorie. Per questa bisogna il sistema mediatico attuale è perfettamente funzionale. Ha già preparato e sostenuto le ultime tre guerre imperiali, sosterrà anche la quarta, se sarà necessario. In attesa della quarta (che forse sarà impossibile cominciare entro il 2004) bisognerà inventare qualcosa d'altro.
Ma c'è sempre la minaccia terroristica per alimentare il terrore. Non si creda che il principio di non contraddizione possa ancora agire sul pubblico americano. Una popolazione già abbondantemente lobotomizzata da Fox TV e dalla CNN non sarà in grado di chiedersi come mai due guerre contro gli stati canaglia abbiano potuto accrescere la minaccia terroristica invece che diminuirla. Chi avesse dei dubbi in materia dovrebbe chiedersi come mai, ancora adesso, circa il 40% degli americani è convinto che l'Irak di Saddam Hussein non solo aveva a disposizione armi di distruzione di massa, ma fu all'origine dell'11 settembre.
Ecco perché penso che Bush vincerà a novembre, anche contro l'evidenza, anche contro tutti i pronostici, anche contro tutti i fattori. Forse, per farlo perdere, ci vorrebbe un avversario democratico. Ma non ci sono avversari degni di questo nome, in America, alla linea politica dei neo-con.
E tutto questo dovrebbe dirci qualche cosa sullo stato di salute della democrazia nel paese che si propone di esportare se stesso in tutto il resto del pianeta.
Articolo apparso su www.megachip.info il 4 gennaio 2004. Pubblicato su gentile concessione dell'autore.

 

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