Pubblicato su Politica Domani Num 32 - Gennaio 2004

Indultino
Una legge che serve a poco
Nelle carceri rimangono il sovraffollamento e lo sconforto di sempre

di Maria Mezzina

Roma, 8 dicembre. Come da tradizione il Papa visita la Madonnina in cima alla colonna di piazza Mignanelli. Fra i fiori, ai piedi della colonna, c'è una parola di fiori bianchi e gialli, "indulto", e una firma, "detenuti".
Le condizioni delle carceri italiane sono al limite. Dopo gli interventi espliciti e ripetuti del Papa, si sono levate tante voci a favore e altrettante contro ed è finalmente partito il processo legislativo. Il 1° agosto è stata approvata la legge 207/2003 "Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni" (indultino). Ne beneficeranno i condannati che abbiano scontato almeno la metà della pena. Sono esclusi i condannati per reati gravi e i detenuti sottoposti a regime di sorveglianza speciale, ma lo sono anche i "delinquenti abituali, professionali o per tendenza", coloro che già usufruiscono di pene alternative, gli immigrati stranieri e coloro che vi rinunciano. Quasi un anno di iter parlamentare (novembre 2002 - agosto 2003), ma la legge non risolve il problema del sovraffollamento e delle condizioni degradanti in cui versano i detenuti.
Sul numero di detenuti che potranno usufruire della sospensione di pena è guerra di cifre. Per il Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia), al 4/2/2003, prima cioè della definitiva approvazione del Parlamento, sarebbero stati 19.300. Approvata la legge, la previsione si è drammaticamente ridimensionata: 8-10 mila secondo Enrico Buemi (Sdi), estensore della legge; 8.500 dice il Dap. Ad oggi sono invece uscite 2700 persone, circa.
Le condizioni della legge sono talmente dure e le procedure così complesse che in molti saranno disposti a rinunciare. È questa la previsione di chi conosce a fondo il mondo del carcere, come Domenico Mastrulli, vicesegretario nazionale dell'Osapp (sindacato autonomo di polizia penitenziaria), che avrebbe preferito l'amnistia. La legge impone l'obbligo di presentarsi periodicamente all'ufficio di polizia penitenziaria, il divieto di espatrio, l'obbligo di non allontanarsi dal comune di abituale dimora o di lavoro. La sospensione della pena è revocata se, entro i cinque anni dal provvedimento, si commette un delitto non colposo che comporti una pena non inferiore a sei mesi. Tutte queste limitazioni e la complessità e lentezza dell'iter burocratico, hanno fatto sì che solo il10-15% hanno avviato le pratiche necessarie.
Inoltre le disposizioni per cui sono esclusi dall'indulto "i delinquenti abituali, professionali o per tendenza", e gli immigrati stranieri di fatto mantiene in carcere gli emarginati, coloro cioè che non hanno una casa, un lavoro, una famiglia o qualcuno su cui contare.
Molto duro è il commento di Luigi Pagano, direttore del carcere di San Vittore a Milano. In un'intervista su Rinascita egli afferma che la legge è solo espressione di un tentativo di essere indulgenti e non dà risposte ai problemi del carcere: manca la cultura del recupero, dice Pagano, "Basta vedere il numero degli educatori o degli assistenti sociali, che avrebbero dovuto essere assunti in base alla legge Simeone e che non sono mai arrivati", e nelle sue riflessioni va oltre, "È necessario chiedersi se il carcere debba ancora esistere e come debba funzionare. Trovo assurdo utilizzare questa pena, che è costosissima per lo Stato, per tutti i tipi di reato".
Nulla di più lontano dalla legge 354/75, "Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", che così recita: "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona. ... Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi."
La gravità della situazione risulta da pochi sconcertanti dati: 83 suicidi, la maggior parte fra giovani al di sotto dei 25 anni; 13.940 detenuti in più di quanto il sistema possa contenere (il 33% in più); l'assistenza sanitaria penitenziaria, già gravemente carente, ulteriormente tagliata nell'ultima finanziaria.
Ancora una volta, quindi, tanto rumore per nulla.

 

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Num 32 Gennaio 2004 | politicadomani.it