Pubblicato su Politica Domani Num 32 - Gennaio 2004

Economia
Cosa sono i fondi etici
Qualità del prodotto e condizioni di lavoro, rispetto dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori, rapporti con i fornitori e destinazione del prodotto. Questi i punti di forza dei fondi etici

di Maria Mezzina

Qualche anno fa si chiamavano etici quei fondi che andavano a finanziare le imprese non profit. Cosa rara e difficile per due ragioni: prima perché le imprese non profit navigavano a vista, mancando ancora una legislazione che ne chiarisse struttura e competenze; poi perché le banche, che sono le intermediarie fra i risparmiatori e le imprese, e che delle garanzie fanno il piedistallo delle loro sicurezze, su questo terreno non sapevano come muoversi e quindi preferivano non muoversi affatto.
Probabilmente un impulso importante allo sviluppo della finanza etica è stato dato dal successo (indubbio, anche se da qualcuno contestato) del sistema del microcredito, una geniale invenzione fatta da un economista del Bangladesh, Muhammed Junus, che, stanco di insegnare teorie economiche ai suoi studenti all'interno delle aule dell'università, mentre fuori, lungo i muri, la gente continuava a morire letteralmente di fame, decise di organizzare un sistema di micro finanziamenti destinati ai più poveri con l'intento di sviluppare in essi, soprattutto nelle donne, iniziative imprenditoriali in grado di sollevarle dalla indigenza più totale. Il progetto ha dimostrato di funzionare bene ed è stato applicato a livello istituzionale nel progetto di ricostruzione del Kosovo.
Naturalmente, con gli opportuni cambiamenti, le stesse idee esportate in occidente potevano dare origine a forme di finanziamento mirato a sostenere piccole imprese non profit. Sono nati così i primi sportelli che si occupavano di finanza etica, che si appoggiavano ad alcune banche, soprattutto del nord.
Questo accadeva circa dieci anni fa. Nel corso degli anni '90, con l'avvento della globalizzazione, divenne chiaro che il termine "etico" applicato al finanziamento delle imprese presupponeva un controllo sui comportamenti socialmente responsabili dell'impresa quali: la qualità del prodotto, il rispetto dell'ambiente, il rispetto dei diritti dei lavoratori e della qualità dell'ambiente di lavoro, i rapporti con i fornitori e, naturalmente, la destinazione del prodotto.
Esistono società di rating specializzate il cui compito è stilare liste di imprese che soddisfano i requisiti di qualità sociale, sulla base di analisi e studi molto complessi, da cui le banche possono scegliere i fondi da proporre ai risparmiatori. La finanza etica si specializza e viene così ad individuare come etiche quelle imprese e organizzazioni i cui comportamenti manageriali e di mercato sono fondamentalmente corretti che una volta erano chiamate "imprese serie".
È chiaro allora che investire nei fondi etici significa mettere in qualche modo al riparo il proprio denaro da quei buchi neri che ultimamente si sono scoperti nella galassia delle finanze quali Cirio, Parmalat, Capitalia, Enron, i fondi argentini. Questo significa che nel lungo termine i fondi etici possono offrire ottimi risultati.
Come mai allora le imprese non si dedicano con più convinzione a realizzare i requisiti di qualità necessari per essere incluse nelle liste delle imprese che si distinguono per responsabilità sociale?
In un articolo su Vita l'economista Marco Vitale elenca una serie di ragioni. I condoni, la depenalizzazione di reati finanziari gravi, l'assenza di una seria politica sugli infortuni sul lavoro spingono a comportamento contrari alla responsabilità sociale verso le persone, l'ambiente, il territorio e le istituzioni. Le organizzazioni etiche hanno un compito difficilissimo che "richiede impegno intellettuale e morale" fortissimi ed un lungo cammino.
Fino a che punto il Governo e le banche sono consapevoli delle opportunità che offre alle comunità la finanza etica? Il Governo sembra interpretare la finanza etica in modo molto restrittivo: sarebbero etiche quelle imprese e organizzazioni che fanno dell'assistenza e della beneficenza (spesso solo per ottenere vantaggi fiscali); una beneficenza peraltro sempre più difficile visti i costi che le imprese debbono sostenere. Le banche poi, considerati i crolli finanziari già citati, non sembrano essere in grado, per ignoranza o per cattiva volontà, di selezionare, fra quelle da finanziare, le imprese più serie e più socialmente responsabili.
La speranza sta quindi nella responsabilità e nella capacità di giudizio dei singoli (amministratori e membri dei cda degli istituti finanziari, specie locali, e risparmiatori). Manca però un'adeguata informazione, specie sui grandi mezzi di comunicazione di massa, radio, tv e stampa nazionale. Ci sono però eccezioni importanti che dovrebbero essere meglio conosciute. Una di queste è il settimanale "Vita" al quale affidano spesso le proprie riflessioni economisti come Marco Vitale e Stefano Zamagni.

 

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