Pubblicato su Politica Domani Num 32 - Gennaio 2004

Israele
Caro Generale, scusa se disobbedisco
Chi sono i Refusenicks e perché fanno paura ad Israele

di Roberto Palladino

In Italia, fino al 1972, chi rifiutava di fare la naja finiva in galera. Qualche mese dietro le sbarre e la fedina penale sporca per quei (pochi) anarchici, Testimoni di Geova, pacifisti, socialisti e cattolici che, per ragioni diverse, non volevano passare due anni della propria vita a fare la guardia a caserme e confini. In Israele per lo stesso motivo in galera ci si finisce ancora oggi. Lo sanno bene Haggai Matar, Noam Bahat, Shimri Tsameret, Adam Maor e Matan Kaminer, i cinque ragazzi israeliani condannati il 4 gennaio, dopo un anno di carcere preventivo, a scontare un altro anno di prigione per aver detto no al servizio militare. I cinque fanno parte dello "Shministim", un gruppo di studenti delle scuole superiori contrari all'occupazione da parte di Israele dei territori palestinesi e che per questo rifiutano di prestare servizio militare. Un diniego che le alte sfere dell'esercito non hanno voluto tollerare. Secondo la sentenza della Corte Militare di Jaffa : "concedere l'esenzione ai cinque avrebbe significato mettere in pericolo l'intero paese". Parole da cui emerge chiaramente il timore che possa diffondersi il malcontento dei giovani nei confronti delle rigide norme che regolano il servizio militare in Israele. La sentenza vuole essere un esempio, per i più, dell'inevitabile prezzo da pagare per avere un po' di sicurezza.
Arresti e sentenze "esemplari" non fermano comunque i Refuseniks, questo il nome dei gruppi di cittadini israeliani che contestano la politica degli insediamenti e degli omicidi preventivi. Anime belle, magari influenzate dal pacifismo europeo? Niente affatto. Il movimento dei Refuseniks sta facendo sempre più breccia anche dentro i reparti dell'esercito. "Courage to refuse", il coraggio di dire no, è un'associazione di militari israeliani che nel 2002 con una lettera aperta (vedi box nella pagina) spiegò le ragioni del proprio rifiuto a difendere gli insediamenti israeliani costruiti nei territori palestinesi. Da allora 585 militari provenienti da tutti i gruppi dell'esercito (anche le forze speciali) hanno firmato quella che è stata ribattezzata "The combatant's letter", la lettera del combattente. I militari Refuseniks sostengono che occupare il territorio palestinese serva solo ad aumentare i rischi per Israele. Niente fiori nei cannoni quindi, ma un rifiuto frutto di una valutazione "politica" della crisi mediorientale. Una scelta che evidentemente non viene condivisa dai vertici della giustizia militare. 280 soldati sono già stati condannati a scontare fino a 35 giorni di carcere, dalla corte marziale a causa della loro disobbedienza. Provvedimenti che, sommati alla condanna dei 5 pacifisti, hanno messo di fronte ad una realtà più difficile del previsto, chi credeva che nessuno avrebbe utilizzato la linea dura nei confronti dei Refuseniks, specie in uno stato in cui la giustizia militare sembra essere piuttosto indulgente. Sul quotidiano israeliano Haaretz Akiva Eldar lo scorso 6 gennaio, ricordava un documento secondo il quale dei 2500 palestinesi morti negli ultimi tre anni per mano dell'esercito israeliano, solo 600 erano classificati come "terroristi" dai servizi segreti. 72 le inchieste militari israeliane aperte finora per la morte di civili palestinese con risultati che si limitano a qualche avanzamento di carriera ritardato e qualche condanna subito sospesa. Viene da chiedersi allora chi sia più criminale, se il soldato che rifiuta di sparare o quello che sbaglia la mira. La giustizia militare israeliana, sembra aver già dato la sua risposta.

Eppure qualcosa sta cambiando. Sono molti, infatti, in Israele a non condivider la politica del governo. Nel 2001 venne resa pubblica la "lista dei 62", una petizione fatta da 62 giovani che avvertivano il governo che non avrebbero servito nell'esercito. Il colonnello israeliano Eytan Ronel si è dimesso per protesta dallo Stato Maggiore. Il 24 gennaio si svolgerà a Tel Aviv una manifestazione di sostegno al piano di pace di Ginevra. I movimenti a favore della pace e di una soluzione equa del problema palestinese stanno diventando sempre più radicati fra la gente. Probabilmente anche Sharon se ne rende conto, visto che al congresso del Likud non ha esitato a sfidare il suo partito dicendo di essere favorevole alla creazione di uno stato palestinese e allo smantellamento di alcuni insediamenti ebraici nei Territori. Il Primo Ministro israeliano è stato sonoramente fischiato e l'annuncio ha scatenato episodi di violenza, ma Sharon non si è fatto intimidire.

 

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Num 32 Gennaio 2004 | politicadomani.it