Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

Balcani, centro della malavita
Sobborghi d'Europa
La debolezza delle istituzioni favorisce il proliferare di gruppi criminali e di traffici illeciti
contro le speranze per uno sviluppo sostenibile nei balcani. e’ impegnata anche l’europa

di Marianna Berti

Continua la tragedia dei paesi balcanici, in particolare dell'ex Jugoslavia. Una terra di miseria, ma non per tutti. Non è così per alcune lobby, gangs, gruppi criminali. Qui la mafia è la regina delle ONG, la distruzione ha lasciato posto alla corruzione, la statalizzazione ad una privatizzazione selvaggia. Le condizioni di stallo della produzione locale, il livello di disoccupazione, tra il 20% e il 35%, i ritardi nel pagamento degli stipendi, i servizi pubblici al collasso, scuole spesso chiuse, mancanza di elettricità e di riscaldamento sembrano delineare il profilo di un'area arretrata. Ma non è così: la situazione attuale, sociale ed economica, deriva dal passato regime socialista e dal suo modello economico, la pianificazione centralizzata dell'economia. Nell'industria, il perno dell'intera economia, privata però della logica efficientistica del mercato, trovava occupazione una gran fetta della popolazione attiva. Oggi l'eredità del sistema socialista costituisce un freno allo sviluppo, poiché l'iniziativa economica privata è una novità che ha difficoltà ad attecchire seguendo le vie della legalità. Il decennio di guerre ha devastato il settore industriale. E così oggi non si può fare riferimento né a quest'ultimo, né ad un'economia di mercato. La presenza della comunità internazionale assicura la sopravvivenza di quest'area ma è anche un impedimento all'autosviluppo. Questa ha permesso, attraverso organizzazioni governative e ONG, la ricostruzione di case ed infrastrutture. Comunità internazionale significa anche importazioni che soddisfano quasi interamente la domanda del mercato; ciò provoca una dipendenza patologica dalla produzione estera.
Ma i legami con l'esterno sono a volte più occulti: attività illecite, traffici di armi, droga, sigarette, traffici di donne e bambini, riciclaggio del denaro sporco. C'è l'Italia degli aiuti umanitari (pari a centinaia di miliardi di vecchie lire), e l'Italia delle 7203 imprese che ancora approfittano della manodopera a costo zero e dell'assenza di regole ambientali e sociali. Il miracolo economico del Nord-Est italiano si spiega anche così: con la delocalizzazione dei processi produttivi proprio nei Balcani. Delle guerre e delle opportunità della privatizzazione hanno tratto beneficio gruppi di criminalità organizzata, legati alla mafia e ad alti dirigenti politici corrotti. L'ideale nazionalista di cui questi gruppi si fanno portatori getta ombre sui loro traffici. La cooperazione deve adottare strategie che impediscano la vanificazione degli aiuti internazionali o, peggio, che le risorse ricevute diano alimento alle organizzazioni criminali e al contrabbando.
Dopo la guerra sono rimasti in questi territori uno stato di quasi anarchia - qualcuno parla di neofeudalesimo - l'assenza di giustizia, di regole, e di trasparenza che impediscono il raggiungimento di qualsiasi obiettivo economico e sociale positivo. È dalla politica che occorre iniziare per la creazione di uno stato di diritto, presupposto indispensabile di un'economia di mercato che assicuri sviluppo e non deregolamentazione. Questo è impossibile senza un'educazione o meglio una rieducazione alla partecipazione, ad un legame tra cittadini e pubblica amministrazione. Apatia, deresponsabilizzazione e clientelismo sociale sono le vere malattie della popolazione balcanica, causa la guerra e l'assenza di democrazia. Quindi due sono i settori dove l'impegno dell'autorità pubblica e l'interesse della collettività balcanica ed europea dovrebbero concentrarsi: l'istruzione ed il welfare.
Un miglioramento della situazione economica e sociale dipende molto dalla cooperazione, perché gli introiti maggiori provengono proprio da qui. Ma la cooperazione deve essere decentrata non più emergenziale, perché le risorse dovrebbero aiutare a riattivare la produzione insieme alla nascita di botteghe familiari, cioè di attività microimprenditoriali e servizi di microcredito. Stiamo parlando della microfinanza, ottima medicina in questi casi per molti economisti, in grado di sfruttare il buon livello di capacità imprenditoriale e le risorse che quest'area offre nel settore dell'agricoltura come in quello dell'artigianato, puntando sull'unicità e qualità del prodotto.
La speranza sta quindi in uno sviluppo sostenibile che abbia la meglio su un'economia perversa, su un mercato grigio e nero nell'interesse dei Balcani ma anche nell'interesse dell'Europa.

 

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Num 30 Novembre 2003 | politicadomani.it