Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

In Bolivia, dopo il cambio di guardia
Una "passeggiata" a La Paz
Nel paese, percorso da tensioni, i bloqueo sono una forma di lotta, non sempre pacifica

di Caral

Sprofondato nella sua sedia a dondolo al 15° piano di uno dei tanti grattacieli che fanno parte delle zone bene di La Paz, Carlo sorseggia con calma nel suo bombeos un amarissimo infuso di erbe.
Carlo è un giovane italiano che lavora in una ong in Bolivia, uno dei paesi più poveri dell'America Latina, e si occupa della realizzazione di piccole centrali idroelettriche in grado di rispondere al modesto fabbisogno energetico delle piccole comunità che vivono al di fuori di quello che sembra il mondo civilizzato.
Proprio il mese scorso abbiamo avuto l'occasione di essere suoi ospiti e ci siamo potuti rendere conto del clima che si respirava in quello che è uno dei paesi più poveri dell'America Latina.
Senza soffermarci più di tanto sull'abissale divario che c'è tra le zone povere del paese e le zone ricche, rappresentate dal piccolo e privilegiato centro delle città, già solamente facendo un rapido giro tra le vie della capitale si intuiva che la situazione politica del paese non era delle più tranquille.
Non vogliamo dilungarci sulle note e dolorosissime vicende che hanno portato a metà ottobre questo paese al centro dell'attenzione della stampa internazionale, quanto piuttosto cercare di capire il contesto che è in grado di portare a simili situazioni.
Il 17 Ottobre scorso Gonzalo Sanchez de Lozada si dimetteva dalla sua carica di Presidente lasciando il posto al suo vice, Carlos Mesa, 50 anni, noto giornalista e scrittore. A scatenare la protesta che ha portato a questo cambio al vertice, il progetto governativo di vendere il gas naturale, prima risorsa del paese, a USA e Messico senza previa lavorazione in patria e, quindi, con scarsi guadagni per i Boliviani.
Come tutte le situazioni di tensione che si creano all'interno di un paese, anche i fatti accaduti in Bolivia sono il frutto di una serie di eventi scatenanti eterogenei tra di loro, alcuni latenti nella società civile da tempo, altri aggiuntisi all'ultimo momento. Questi fatti, sommati insieme, hanno dato il via a quella forma di protesta del tutto caratteristica chiamata "bloqueo", ossia il blocco forzato della circolazione, un classico in alcuni paesi latinoamericani. Fondamentalmente esso consiste nell'impedire il transito dei veicoli creando delle barricate con pietre e sassi lungo le vie di comunicazione, oltre che nel vigilare attivamente in modo che questi blocchi non vengano superati. Purtroppo a volte la vigilanza attiva comprende anche assalti e lanci di pietre contro i veicoli che tentino di attraversare le strade interessate dalla protesta. Per questo motivo durante le proteste di ottobre più di settanta persone sono rimaste uccise nel tentativo della polizia di reprimere il fenomeno.
Un buon quadro della situazione ci è stato offerto dal parroco della Cattedrale che, per una ventina buona di minuti, ci ha raccontato come il governo avesse quasi dimezzato da un giorno all'altro gli stipendi minimi e come molto spesso i campesinos locali, presi a giornata, venissero pagati addirittura sei bolivianos al giorno (un dollaro usa corrisponde a circa otto bolivianos).
La nostra visita è continuata poi in una delle piazze più belle di La Paz nella quale la facciata di un edificio crivellata di colpi, è rimasta testimone fedele dello scontro avvenuto a febbraio tra l'esercito e la polizia. Lo scontro ha causato 17 morti tra i quali numerosi civili ed anche personale medico e paramedico che era venuto a prestare soccorso ai feriti.
Il nostro viaggio di rientro in Perù è coinciso con l'inizio delle manifestazioni di protesta. Ci siamo così trovati coinvolti nei blocchi alla circolazione all'uscita della capitale, nonostante l'autista del pullman ci avesse rassicurato sulla fattibilità del viaggio. Cercando di aggirare l'ostacolo ci siamo diretti lungo le periferie per tentare di trovare un varco. Qui, oltre a subire alcuni assalti e sassaiole, ci siamo potuti rendere conto di come si vive ai confini della grande città, dove le strade mancano e sono attraversate dalle fogne a cielo aperto, dove mancano la corrente elettrica e l'acqua, dove insomma si vive in una situazione tale che anche i gesti estremi come quelli di cui siamo stati oggetto sono in realtà frutto dell'esasperazione e dell'impotenza che schiaccia la maggior parte della popolazione.

 

Cartolina

Con i suoi otto milioni di abitanti in un territorio di un milione di kmq, la Bolivia è uno dei paesi più poveri del centro-sud America, con un'altissima sperequazione nella distribuzione delle ricchezze e un gran numero di persone che abita ancora in villaggi poverissimi. Così convivono all'interno della capitale La Paz (in realtà sede del governo perchè la capitale legale è Sucre) grattacieli e ville con eliporto con baraccopoli prive di tutto.
Stupendi invece i paesaggi naturali che un paese come la Bolivia, che si sviluppa nella maestosa catena andina, sa offrire. Il nome Bolivia deriva dal Libertador Simon Bolivar che le restituì l'indipendenza dalla Spagna il 6 agosto 1825.

La Bolivia in numeri
Popolazione: 8,586,443 abitanti il 70 % dei quali vive sotto la soglia di povertà. L'età media è di 20,8 anni e l'aspettativa di vita media è di 64,7 anni.
Fede religiosa: il 95% della popolazione è cattolica e il 5% protestante.
Ci sono 116.000 telefonini e 78.000 utenti di Internet.
In Bolivia 24.400 ettari di terra sono coltivati a coca (il paese è il terzo produttore mondiale dopo Colombia e Perù).

 

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Num 30 Novembre 2003 | politicadomani.it