Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

Testimonianze
Immagini dall'Iraq del dopo guerra
Intervista ad un militare italiano che ha vissuto sei mesi a Nassyria (Iraq)

a cura di Maria Mezzina e Simona Ottaviani

Uno dei nostri ragazzi militari a Nassyria è appena tornato. Ha accettato di parlare con noi delle sue esperienze e delle sue impressioni in Iraq. Ha riportato con sé tante immagini, su cd. Le abbiamo viste insieme. Sul filo di queste immagini si è sviluppata la testimonianza che riportiamo, sotto forma di chiacchierata fra amici, densa però di ricordi, sensazioni, impressioni ed emozioni.

Il Museo Antica Babilonia
"Questa era Nassyria, nel cortile del Museo Antica Babilonia, dove abbiamo alloggiato per qualche tempo. Prima c'erano stati gli americani". Nella foto si vedono galline e papere, "sparite dopo poco tempo. Forse se le è mangiate l'interprete".
Disastrosa la situazione del patrimonio archeologico-artistico dell'Iraq: "Io ho avuto in mano dei reperti ai quali ho fatto delle foto, dicevano che erano di valore inestimabile … me ne volevo quasi portare a casa uno …E hanno rubato tutto comunque, tutti, anche gli americani."

Un popolo orgoglioso
"Gli iracheni non vogliono nessuno perché sono un popolo un po' orgoglioso." Il concetto ritorna ripetutamente durante la chiacchierata, e riporta in mente le parole di Ferdinando Pellegrini, corrispondente di guerra, in una nostra intervista*, prima di partire proprio per Baghdad. L'orgoglio iracheno. Prima della guerra anche alcuni generali americani avevano sconsigliato l'intervento**. Ora che la guerra è finita, è iniziata la guerriglia. Americani, inglesi e italiani vengono percepiti come invasori. A diversi livelli, però: gli americani sono i nemici, gli inglesi sono gli alleati dei nemici, gli italiani sono passabili. Tutto questo espresso con tre gesti molto più eloquenti di qualsiasi parola.
"Dove stavano gli americani noi dovevamo scappare perché sparavano in continuazione. C'era da avere paura perché dove stavano loro ci stavano i guai, perché dove stavano gli americani c'erano gli iracheni che purtroppo non volevano nessuno. Gli iracheni non vogliono nessuno."

Ignoranza della cultura del luogo
Problema che si aggiunge a problema: gli invasori non conoscono la cultura del luogo e accadono incidenti. Il nostro amico ricorda l'episodio dei sei inglesi uccisi: "Ci hanno rimesso le penne perché hanno fatto una perquisizione in una casa di sciiti. Gli sciiti li avevano avvertiti, "Se volete entrare dovete aspettare perché in casa ci sono le donne". Quando si entra nelle loro case le donne devono sparire, e neanche possono mangiare con gli uomini, c'è lì questa cosa particolare della donna islamica. Gli sciiti tardavano a far sparire le donne, allora gli inglesi non hanno più aspettato, sono entrati e hanno fatto la perquisizione; per giunta sono entrati con il cane, c'era infatti anche il cinofilo, e siccome per la legge islamica il cane è un animale impuro, quando il cane entra in una casa quelli che vi abitano sono costretti ad uscire, vanno via di casa. Lo sciita padrone di casa s'è arrabbiato ha chiamato tutto il villaggio e li hanno uccisi, decapitati tutti e sei."
E ancora: "Andavamo in pattuglia e abbiamo preso sassate e bastonate perché alcuni di noi avevano gli occhiali da sole a specchio e loro avevano la convinzione che portassimo gli occhiali da sole a specchio per guardare le loro donne, quelle bellissime signore tutte vestite di nero!"

One dollar
E LA GENTE COM'ERA NEI VOSTRI CONFRONTI?
Viene fuori un quadro di necessità e di miseria: bambini che chiedono acqua perché costretti a bere dal fiume Eufrate, e soldi. Gli italiani sono ben visti, perché danno loro acqua e scatolette "che non ce la facevamo più a mangiare perché siamo andati avanti tre mesi a scatolette".
"Io mi sono trovato una volta al mercato, arriva un ragazzino che mi tira per la giacca e mi chiede con insistenza un dollaro, "one dollar". Ho pensato va bene, adesso do un dollaro a questo bambino. Gli ho dato un dollaro; non ho fatto in tempo a dargli il dollaro che è scappato, non l'ho più visto. Non passano dieci secondi che avevo un pipinaro di ragazzini intorno, che volevano i soldi e non sapevo più come andarmene perché si erano messi tutti intorno alla macchina e rischiavo di metterli sotto."

Gli sfratti
Sul computer passano alcune immagini. Un bambino su un carretto attaccato a un asino trasporta poche cose, una ragazzina porta via sulla testa altre cose; una bambina di pochi anni e dietro un soldato con un giubbotto antiproiettile. "Quello era un villaggio i cui abitanti erano stati sfrattati, non ricordo se erano sunniti o sciiti. Lo sfratto era esecutivo ed era ordinato dagli americani: siccome c'erano sempre conflitti tra sunniti e sciiti, prima che ci fossero degli omicidi e che si sfrattassero tra loro, venivano mandati via dagli americani."
DOVE LI MANDAVANO?
"Non lo so. Io avevo paura solo a stare lì vicino, perché quando stavo là con gli Americani era pericoloso: da un momento all'altro potevano spararti addosso. Quindi non pensavo a dove andassero i ragazzini perché alla fine non mi importava più di tanto."

Arrangiarsi
Una foto, una strada, cassette di bibite, due contenitori che sembrano thermos, degli uomini seduti in terra.
"Quelli sono contenitori di polistirolo con dentro del ghiaccio e quelle sono delle lattine di coca cola e aranciata che ci vendevano. Loro stavano lì fuori aspettando i clienti. Ogni tanto veniva l'omino con il telefonino satellitare preso non so da dove, perché noi non potevamo telefonare, e così era possibile chiamare con questo telefonino. Si arrangiavano vendendo queste cose, le bibite, le telefonate, oppure vendevano i soldi di Saddam Hussein. Io almeno pensavo che fossero soldi di Saddam Hussein, ma questo denaro non era denaro buono, era buono solo per loro. Non erano soldi falsi però, erano tutte copie numerate di soldi veri che faceva Saddam Hussein. In pratica Saddam Hussein aveva fatto la zecca per conto suo."

Soldati
MA CHE TIPI SONO QUESTI MARINES?
Inizia con questa domanda una serie di notizie sugli americani in Iraq e sul ruolo e le condizioni dei nostri militari a Nassyria. "Quando siamo partiti, il nostro compito doveva essere di scorta ai convogli umanitari e ai giornalisti. Stando lì però non ho visto nulla degli aiuti umanitari che il governo italiano doveva mandare in Iraq. Si dice che gli aiuti umanitari arriveranno a gennaio. Quando ci sono stato io il nostro compito era di pattugliare il territorio e prima di tutto era necessario farci conoscere dalla gente; e poi siccome c'era il problema della polizia irachena, che non è capace di fare un buon servizio di polizia: abituati come erano ad uno stato dittatoriale sotto Saddam Hussein, non hanno il concetto della democrazia e di come si fanno funzionare le cose. Allora parecchi di noi sono andati in giro per le stazioni di polizia a fare i comandanti di stazione, e grazie agli accordi presi con i capi di polizia iracheni, a fare incontri di addestramento per i poliziotti … Ci sono molte cose lì che non vanno: basta infatti che uno vada alla stazione di polizia e dica "guarda che quello mi ha rubato le cipolle" che i poliziotti vanno da quello, l'arrestano e lo mettono dentro." "Quello" va a finire nelle celle di sicurezza della stazione di polizia, gabbie per animali dove viene rinchiuso e lì in pratica dimenticato.
Vediamo le foto delle celle di sicurezza dove "più che altro era la puzza che… perché là facevano tutto."

Veniamo a sapere che i nostri militari si sono trovati in difficoltà non appena arrivati a Nassyria. "Noi siamo arrivati prima del dovuto, non so per quale motivo, e ci hanno dovuto ospitare i marines nella loro struttura. Ci hanno fatto dormire sul tetto. Quando siamo arrivati ci hanno detto che ci avrebbero ospitati nella mansardina dell'edificio dove alloggiavano. Però questa era piena di calcinacci e loro la usavano come latrina. Noi ci siamo messi là e piano piano abbiamo pulito, anche con l'acido, per sistemarci un po' ma il caldo era talmente tanto che alla fine dormivamo sul tetto. Il tetto era pericoloso perché come si faceva buio gli iracheni iniziavano a sparare. Gli iracheni sparano sempre, anche per i matrimoni e i funerali, è la loro cultura. Ma i proiettili in caduta sono pericolosi. Alcuni proiettili si potevano anche vedere: erano proiettili traccianti e quindi si vedevano andare in aria. Un proiettile ha bucato il mio armadietto campale metallico. L'ha bucato e poi si è fermato sul secondo ripiano dell'armadietto che era sempre in metallo. La mia brandina era lì accanto. Se mi fosse caduto in testa…"
"… Oltre a questo, faceva caldo e ci sono stati un sacco di problemi. Per esempio ci hanno mandati i climatizzatori; ma questi sono apparecchi che a 40° vanno in blocco e là i 40° ci sono alle sette di mattina…"

Le foto continuano a scorrere.
"Queste sono le tende del campo americano. Loro sono sempre più all'avanguardia: avevano una tenda adibita a lavanderia e dentro c'erano le lavatrici. Un giorno in cui sono potuto scappare, sono andato lì a lavare i panni invece di lavarli a mano."
Le lavanderie della foto stridono con quanto veniamo a sapere dal nostro amico riguardo la condizione dei soldati americani, almeno quelli alloggiati con i nostri militari, al piano di sotto di quell'edificio a Nassyria. "Io vedevo quei marines che stavano là, ed erano di uno schifo, sembravano zulù, non si lavavano, stavano buttati là, un po' forse era per lo stress di questa guerra. Non lo so, perché alcuni di loro che stavano là, erano ancora quelli che hanno fatto proprio la guerra. Comunque non si lavavano, e quello che ho trovato su in quella mansarda era terribile: per la puzza non si poteva stare anche dopo aver pulito con l'acido muriatico. Siamo dovuti andare a dormire per forza sul tetto; o prendevi i proiettili in caduta o morivi asfissiato".

COM'È TROVARSI NEGLI SCONTRI A FUOCO? PERCHÉ VOI VI CI SIETE TROVATI, VERO?
"Sì, la mia squadra ha avuto un conflitto a fuoco, una rapina in corso,una cosa accaduta così, quasi per sbaglio. Siamo passati là per caso, mentre stavano facendo una rapina e ci hanno tirato addosso; noi abbiamo risposto, poi fortunatamente c'era un check point; loro sono scappati ed è finita là. Io la notte non ho dormito perché è stato il mio primo conflitto a fuoco. Ho avuto tutta la notte un bruciore, mi bruciava qua perché poi … Sparavo con una mano sola. Anche se avevo il giubbotto antiproiettile, però con una mano cercavo di coprirmi il cuore, e con l'altra sparavo."

* Politica Domani n° 23, marzo 2003.
** "I dieci punti di Zinni", Politica Domani n° 21, gennaio 2003, pg. 2.

 

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