Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

Solo l'Europa è rimasta con il vecchio leader, forse neanche il suo popolo lo vuole più
Si può davvero fare a meno di Yasser Arafat?
"Non mi farò da parte, ma morirò da martire" (Yasser Arafat al quotidiano Sharq al-Awsat)
"Mi rincresce il fatto che Israele non abbia ucciso Arafat quando ne aveva la possibilità, durante l'invasione del Libano del 1982" (Ariel Sharon, 31/1/2003)
"Perché Arafat deve abbandonare il posto che occupa sulla scena politica palestinese? Perché la causa palestinese non avanzerà mai di un solo passo fin tanto che lui controllerà questa scena politica…E' vero che Arafat è un simbolo, ma è un simbolo logoro, che ha perduto il suo lustro." (Huda Al-Husseini sul giornale londinese in lingua araba Al-Sharq Al-Awsat, 19/9/2003)
[Fonti: www.rainews24.it e www.memri.org]

 

di Fabio Ciarla

Il vecchio leader palestinese è ad un passo dall'oblio politico e umano. La sua figura è controversa, ma la sua uscita di scena potrebbe provocare un terremoto politico di dimensioni incalcolabili. Mohammed Abd al-Rahman Abd al-Raouf Arafat, nasce a Il Cairo il 24 agosto 1929 in una importante famiglia originaria di Gerusalemme, aderisce alla lotta palestinese fin dal 1948, si laurea in ingegneria e combatte nell'esercito egiziano. Dal 1952 al '56 è presidente dell'Unione degli Studenti Palestinesi e diventa un leader della causa del suo popolo; si rifugia quindi in Kuwait dove dal 1959, insieme ad altri tra cui Mahmoud Abbas (Abu Mazen), getta le basi del movimento al-Fatah, acronimo rovesciato di Harakat al Tahrir (al Watani) al Falastin, ovvero Movimento di Liberazione (Nazionale) della Palestina. Nel frattempo nasce anche l'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina - 1964); al suo interno convergono Fatah e gli altri movimenti combattenti nel 1967 e nel febbraio '69 Arafat è eletto presidente: ha inizio così la lotta in prima persona del popolo palestinese. Nasce in questo modo la carriera di combattente di Arafat - appellativo di battaglia Abu Ammar -, che dovrà difendersi negli anni sia da Israele che dagli stessi stati arabi, ansiosi di riprendere il controllo della causa palestinese. In seguito alla guerra del Libano il durissimo intervento israeliano si concluse con la cacciata dell'Olp dal paese, ed il trasferimento sotto scorta internazionale di Arafat e dei suoi collaboratori a Tunisi (1982).
Nel frattempo però la causa era stata "esportata" in altri modi, tutti più o meno compresi nella definizione di "terrorismo"; come esempio per tutti ricordiamo il clamoroso rapimento degli atleti israeliani dal villaggio olimpico di Monaco di Baviera nel 1972 conclusosi con 17 morti. Le azioni quasi sempre compiute da gruppi minoritari, furono tuttavia ricondotte, giustamente, all'Olp e quindi ad Arafat. Se da una parte il terrorismo pose sotto una cattiva luce le istanze palestinesi, dall'altra contribuì a costringere il mondo ad affrontare il problema. Comincia dunque così la carriera diplomatica che farà di Arafat un capo di stato, seppure solo sulla carta. Conscio dell'attenzione che ormai aveva conquistato la sua causa, nel 1974 Arafat cominciò a operare politicamente facendo approvare dal Consiglio Nazionale Palestinese un "programma in dieci punti" che predicava il diritto all'autodeterminazione del suo popolo e per raggiungere questo scopo prevedeva l'uso di mezzi anche "non militari"; ma soprattutto si riconosceva indirettamente, ed era la prima volta, l'esistenza dello Stato di Israele. La grande occasione per Arafat arrivò proprio dal consesso internazionale: il 13 novembre 1974 l'Onu lo chiamò a parlare all'Assemblea Generale, dove pronunciò il famoso discorso "del fucile e del ramoscello d'ulivo". Il combattente, "terrorista" e capo politico parlò del sogno di uno stato unitario e laico in Palestina raccogliendo molti consensi e la possibilità per l'Olp di sedere all'Assemblea Generale con lo status di osservatore. Arafat divenne da allora famoso per la sua uniforme e per la kefiah che non toglie mai; i suoi consensi aumentarono con gli anni e venne riconosciuto come rappresentante della causa palestinese anche dall'Europa (Dichiarazione di Venezia - 1980). Poco prima del 1987 Arafat sfuggì all'eliminazione da parte di Israele: un bombardamento aereo su Tunisi, ordinato dal governo Israeliano per colpire il leader palestinese fece circa 100 morti senza centrare il bersaglio.
Il 1987 è l'anno dello scoppio dell'Intifada ma, a ben guardare, è anche l'inizio della fine di Arafat. In questa rivolta trovò spazio il nascente fondamentalismo religioso di Hamas. Si era creata una profonda frattura tra la generazione dei ventenni cresciuti nei campi profughi e i "tunisini", cosi veniva definita l'elite politica rientrata dall'esilio a Tunisi che non sempre sarà capace di capire e accogliere le voci e le richieste del proprio popolo. Nel 1988 Arafat proclama lo Stato indipendente di Palestina, riconosce le risoluzioni ONU 242 e 338 e ne chiede l'applicazione mostrando insieme la volontà di aprire un negoziato con Israele. Nel 1989 è eletto primo Presidente di uno stato che non c'è, lo Stato di Palestina. Nonostante la scelta autolesionista di schierarsi con Saddam Hussein nella Guerra del Golfo del 1990, un nuovo grande momento per lui, e sicuramente per tutto il Medio Oriente, arriva nel 1993 con gli accordi negoziati segretamente da palestinesi e israeliani ad Oslo. Israele, con Yitzhac Rabin Primo Ministro e Shimon Peres agli Esteri, e Olp si riconoscono reciprocamente, dando il via al primo vero trattato di pace tra i due popoli. Il 1 luglio 1994 Arafat fa rientro in Palestina, dopo 25 anni di esilio, tra scene di giubilo. Nello stesso anno i tre protagonisti dell'accordo ricevono il Premio Nobel per la Pace. Le speranze terminano però bruscamente con l'uccisione di Rabin da parte di un integralista ebreo il 4 novembre 1995; l'unico leader israeliano capace di negoziare una pace coraggiosa con i palestinesi esce così di scena. Da quel momento mentre Israele non ha saputo più offrire leader determinati, Arafat, da parte sua, imponendo un sistema di governo rigidamente accentrato ha impantanato la causa palestinese. L'accusa che gli muove Israele, che lo ritiene il maggior ostacolo alla pace, è quella di non fare niente per fermare il terrorismo, escludendolo quindi con ciò dalle possibili trattative future; di questa opinione sono ormai anche gli Stati Uniti. A sostenere Arafat sono rimasti ora solo alcuni Stati europei e quasi tutti quelli arabi.
Ma si può davvero fare a meno di Abu Ammar? Da più parti la posizione intransigente di Sharon che vuole l'eliminazione di Arafat, è vista come una definitiva resa dei conti non solo con il leader dell'Olp, ma anche con la resistenza del popolo palestinese: orfana infatti del suo padre fondatore e dell'unico uomo finora capace di gestire le varie anime della lotta, essa risulterebbe sicuramente indebolita. Da parte sua Arafat non vuole cedere il potere a nessun costo, prova ne sono stati i limiti imposti ad Abu Mazen, tanti e così stretti da costringerlo a ritirarsi dalla carica di Primo Ministro. Non si intravedono al momento soluzioni di sorta, se è chiaro infatti che l'attaccamento al potere di Arafat rende tutto più difficile, è pur vero che nessun altro leader palestinese potrebbe riscuotere gli stessi consensi. Solo Abu Mazen poteva rappresentare, forse, un'alternativa, ma Arafat non ha voluto capirlo e non si è mosso di conseguenza; tuttavia da solo neanche Mazen era in grado di farcela perché il "placet" arrivato per lui dagli Usa, è suonato ai fondamentalisti islamici come un tradimento. Ed è proprio questo che Israele e tutti i sostenitori della pace devono temere, una volta escluso Arafat chi sarà in grado di mettere un freno ai fondamentalisti? Finora il grande consenso del vecchio leader è riuscito checché se ne dica a portare alla ragione, non sempre ma spesso, gli estremisti religiosi; dopo di lui chi e con quali mezzi saprà farlo? Sharon probabilmente aspetta proprio tale momento per scatenare tutto il suo arsenale di distruzione, ma la guerra richiamerebbe solo altra guerra. Bisogna decidere quindi, e in fretta. Per cause politiche e naturali Arafat è davvero ad un passo dal lasciare la scena e dopo di lui, senza per questo volerne prendere le difese, ma soltanto guardando obiettivamente la situazione, sembra ci sia solo il diluvio.

 

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Num 30 Novembre 2003 | politicadomani.it