Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

Edirotiale
Uscire dalla gabbia

di Maria Mezzina

"Dovrebbero essere dei posti di detenzione temporanea. Il fatto però è che li mettono lì e poi se ne dimenticano". Così ha detto il nostro amico militare da noi intervistato sulla sua esperienza in Iraq, commentando la foto qui accanto delle celle di sicurezza all'interno dei posti di polizia iracheni.
Il nostro è un esercito inviato in missione di pace e di sostegno alla popolazione. I nostri ragazzi laggiù fanno del loro meglio per aiutare la gente, ma hanno paura e a ragione: la guerra si è trasformata in guerriglia strisciante e stare accanto o anche solo nelle vicinanze di qualche americano vuol dire rischiare la vita (il concetto venuto fuori ripetutamente nella nostra intervista).
È difficile immaginare come nella drammatica situazione in cui versa l'Iraq, dove l'unica via di uscita dal caos crescente sembra essere la fuga, possa affermarsi quella democrazia che, a furia di bombe, è stata portata a motivo dell'invasione e dell'occupazione di quel paese.
"La gente di qua è orgogliosa e non vuole nessuno", è stato l'altro concetto ricorrente. Certo, gli sfratti forzosi, per di più decisi dalle forze di occupazione, le scuole distrutte, i servizi che mancano, il lavoro che non c'è più, le macerie, l'ignoranza degli stranieri occupanti delle tradizioni, della storia e della cultura del luogo, la dignità calpestata, la mafia, non aiutano il passaggio alla democrazia. C'è anzi il pericolo che la democrazia diventi un feticcio occidentale, una specie di etichetta, come per la coca-cola, da imporre sul mercato globale.
Il problema è che la democrazia rischia di diventare poco più di un'etichetta anche in occidente. Le misure straordinarie anti terrorismo che gli stati stanno prendendo o hanno già prese non sono altro che limitazioni delle libertà individuali e del diritto. I contrasti spesso molto aspri che si registrano fra i poteri dello stato non sono altro che il sintomo di questo progressivo degrado della democrazia. Per interessi economici e di potere, per paura del nuovo e paura di perdere i privilegi acquisiti, stiamo entrando anche noi in una gabbia da cui sarà difficile e penoso poi uscire. Forse, per abbattere ad una ad una le sbarre di questa gabbia, sarebbe utile, magari, fare una passeggiata a La Paz e partecipare con i campesinos ai bloqueo di protesta; o andare in Argentina per capire perché dei nostri soldi investiti laggiù riceveremo solo il 10%; oppure, magari, in Malawi a dare una mano ai monfortiani che operano lì; o in India, dove concepire una bambina è una disgrazia; oppure solo a un passo da noi, nei Balcani, a impegnarci nella ricostruzione di là.
Aprirsi al mondo, fare in modo che i problemi di tanti diventino il nostro problema, in una sorta di "teatro della parola viva", nel quale diventiamo interpreti, vorrebbe dire ridare lustro alle vecchie bandiere della pace che, sporche e stracciate, sventolano ancora dai nostri balconi; dare respiro alla voce di un Papa che si è speso fino all'estremo delle sue forze; significa soprattutto dare forza all'Europa per essere guida e speranza di pace nel mondo.

 

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Num 30 Novembre 2003 | politicadomani.it