Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

Elezioni presidenziali 2004
Cantieri elettorali negli Stati Uniti
La macchina elettorale è in moto. I partiti scelgono strategie e persone

di Marianna Bartolazzi

Dopo essere comparse in cronaca già da qualche tempo, le elezioni presidenziali americane stanno prepotentemente conquistando la ribalta dei media. L'incertezza crescente del risultato sta condizionando - e lo farà sempre più da qui a novembre 2004 - le vicende internazionali. Fino a qualche tempo fa la rielezione di Bush veniva data per scontata, ma da quando la disoccupazione cresce di pari passo con le morti in Iraq, i giochi si stanno riaprendo.
Entro le fila dell'opposizione, hanno annunciato la propria candidatura una decina di democratici tutt'altro che incolori, insieme a qualche autentica star, come il generale Clark, il quale, con cipiglio poco meno che napoleonico, il 17 settembre ha annunciato la sua discesa in campo.
I democratici tuttavia sembrano puntare ancora una volta su Al Gore, l'ex-vice di Clinton.
Dallo scorso anno Gore è consigliere d'amministrazione di Apple, azienda di Cupertino (CA) leader nel campo dell'informatica, condotta dal democratico Steve Jobs, amico di Gore da tempo. Uscito sconfitto dalle elezioni 2000, Gore aveva dichiarato di voler abbandonare la politica. Adesso le voci di una sua possibile candidatura turbano il consiglio d'amministrazione che proprio in Gore ha trovato non solo un tecnico indispensabile ma, soprattutto, un invidiabile uomo immagine. La notizia viene dal "The Hill", il quotidiano di Washington più informato sul Congresso Usa.
Finora i Democratici, in alternativa a Gore, hanno fatto i nomi di personaggi di minore peso (Joe Lieberman, John Kerry e Dick Gephardt) le cui preferenze però, neppure se venissero sommate, riuscirebbero al momento a contrastare la percentuale a favore di George Bush.
Eppure l'uomo nuovo del Partito Democratico, quello che sta lentamente superando tutta la "concorrenza interna", ha un altro nome: Howard Dean, ex-governatore del Vermont, il quale tra i suoi più accaniti sostenitori ha proprio l'intero establishment repubblicano, convinto di poter vincere senza problemi contro un candidato ultra-liberal quale è Dean. Negli ultimi mesi Dean è salito dal 2 al 23 per cento nello "stato-campione" dell'Iowa, mentre i moderati John Kerry, governatore del Massachusetts, Joe Lieberman, candidato alla vicepresidenza nella sfida Bush-Gore, e Dick Gephardt, congressman del Missouri, sono inchiodati, rispettivamente, all'11, al 4 e al 17 per cento. Al momento, a livello nazionale, Dean può contare sul 15 per cento dei consensi dell'elettorato democratico, con una crescita, negli ultimi tempi, del 200 per cento. Ce n'è abbastanza per far preoccupare i nipotini di Clinton, che pensano ad Al Gore e finanche ad Hillary Clinton come possibili contromisure, e abbastanza per far pensare i repubblicani.
La partita è talmente aperta che in sostegno al Partito Democratico, a fine settembre, rompendo tutte le tradizioni, Bill Clinton è sceso in campo con tutta la sua abilità mediatica per appoggiare la campagna democratica direttamente sul terreno, e non solo dall'olimpo della "elder statesmanship" degli ex presidenti. Un intervento, il suo, che potrebbe essere decisivo nella costruzione di una credibile alternativa alla riconferma dell'amministrazione Bush.
È sul fattore Guerra (in Iraq, in Afghanistan, nel Medioriente) che si deciderà l'esito delle elezioni del 2004. Il Bush trionfante del primo maggio sulla portaerei Lincoln, sotto lo stillicidio quotidiano di una guerra che sembra "infinita", è stato drasticamente ridimensionato. Il fattore decisivo alla soluzione dei conflitti (e alla rielezione di Bush) potrebbe essere rappresentato dall'impegno della comunità internazionale e dell'Europa.
Negli Usa vige un solido bipartitismo. Sono elettori solo i cittadini che si iscrivono alle liste elettorali. Per l'iscrizione, oltre alle informazioni personali, occorre indicare il partito di appartenenza.
In passato e per lungo tempo la maggioranza degli elettori americani si iscrivevano ai partiti democratico o repubblicano. Solo negli ultimi anni gli indipendenti hanno superato gli iscritti dei due grandi partiti. In questo modo anche negli USA la situazione politica diventa fluida, incerta e foriera di novità imprevedibili.
Negli Stati Uniti chi vince prende tutto ed entra ovunque si governi. La lotta tra i partiti fuori e all'interno, per via delle candidature, è molto dura.
La legge prescrive le regole elettorali e le norme che tutti i partiti devono rispettare per scegliere, nelle elezioni primarie, il proprio candidato Presidente. Le primarie non sono quindi solo un fatto interno ai partiti, esse sono parte integrante ed essenziale delle elezioni presidenziali perché sono espressione della volontà popolare. Le votazioni per l'elezione del Presidente Usa è prevista per legge il 2 novembre 2004. Le elezioni primarie si svolgeranno nei singoli Stati federali a partire dal gennaio 2004.
Per decisione dei singoli partiti e come conseguenza delle leggi elettorali di ciascuno Stato le primarie possono essere chiuse (limitate cioè ai soli iscritti al partito) o aperte (tutti possono partecipare purché votino per una sola elezione primaria). I vincitori delle primarie statali sono poi delegati alla Convention del Partito d'appartenenza, il quale indicherà il candidato alla presidenza degli Stati Uniti e il candidato alla vice-Presidenza. Poiché ogni cittadino americano è libero di candidarsi alla presidenza, un candidato indipendente può mettere in moto una sua autonoma macchina elettorale e partecipare da solo alle elezioni.
Le primarie non si svolgono però ovunque. In alcuni Stati i candidati sono scelti nel caucus, riunioni utilizzate dai partiti politici americani per selezionare i propri candidati alla presidenza. Un caucus è una riunione di militanti locali che eleggono i delegati a riunioni successive fino al livello statale dove vengono nominati i delegati alla Convention nazionale del partito. Lo scopo dei caucus è di allargare la partecipazione attiva al processo politico e di selezionare i nuovi quadri del partito.
Arriva negli USA il voto on-line. California e Arizona lo hanno già sperimentato nelle ultime elezioni. Per il momento i suffragi per via telematica non sono stati considerati e sono serviti solamente a "testare" l'affidabilità del sistema.
Se l'esito delle prove dovesse risultare positivo (come sembra che sia), le presidenziali del 2004 potrebbero davvero essere le prime dell'era digitale. Un primo passo sulla via delle innovazioni è già stato fatto: quest'anno nell'Oregon si è votato per posta. Il nuovo strumento elettorale ha così reso di fatto virtuali urne e seggi, sostituiti da buche delle lettere e uffici postali di spoglio.
La sperimentazione con Internet si svolgerà nel corso di questo autunno a S. Diego, a Sacramento e a Phoenix. Comunque vada, nessuno dei voti elettronici sarà contabilizzato. Ma Jim Adler, il capo della "Vote.here.net" di Bellevue, nello Stato di Washington, che ha messo a punto il sistema, non ha dubbi: entro il 2004, il voto remoto sarà estremamente diffuso e praticamente generalizzato.
Il voto elettronico ha numerosi vantaggi: risultati immediati e minori costi. Non mancano però serie riserve che riguardano timori per la sicurezza del voto, dubbi sulla riservatezza e la segretezza del suffragio on-line e preoccupazione sulla possibile discriminazione che un tale sistema di voto potrebbe comportare.

 

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Num 30 Novembre 2003 | politicadomani.it