Pubblicato su Politica Domani Num 30 - Novembre 2003

Soia transgenica
Il Brasile di Lula cede alla pressione dei coltivatori
Autorizzata la semina di soia Roundup Ready (Monsanto)
per la prossima raccolta, ma è in arrivo una nuova legge anti OGM

di Andrea Palladino

Cinque anni, non più di cinque anni e cinque multinazionali controlleranno il mercato mondiale delle sementi. Il vero nodo della questione OGM potrebbe essere contenuto in questa semplice ma sconcertante cifra, proposta da Jeremy Rifkin, economista americano, metre-a-penser del movimento new global e presidente della Fondazione sulle Tendenze Economiche.
La battaglia che contrappone il movimento ambientalista (e non solo) ai gruppi economici produttori di organismi geneticamente modificati cela uno scenario possibile che Rifkin denuncia con forza: ”Se non riusciremo nell’impresa di denunciare ciò per cui sta lavorando il trust delle industrie sementiere, presto l’umanità non disporrà più del controllo delle proprie necessità primarie, quelle per l’approvvigionamento alimentare”. Una realtà non lontanissima, visto che, oggi, negli Stati Uniti le multinazionali Monsanto, DuPont, Novartis e Stoneville controllano, ogni anno, il 65% delle sementi per la produzione di mais e l’84% di quelle per la produzione del cotone. E i geni modificati della soia, del mais e del cotone sono un vero e proprio cavallo di Troia, per convincere i contadini di tutto il mondo che è giusto pagare imprese spesso lontanissime, con nomi per loro sconosciuti, per poter utilizzare i semi provenienti dal proprio raccolto.
Se l’Europa per ora resiste, alcuni paesi hanno da tempo scelto apertamente di difendere il modello OGM, primo fra tutti gli Stati Uniti, seguiti dall’Argentina e dalla Nuova Zelanda. Altri paesi sono in una situazione intermedia, con una legislazione apparentemente di garanzia (per i contadini e i consumatori) ma con una pratica a volte dubbia. Il Brasile di Lula sta vivendo in questi giorni una furiosa polemica dopo che il vice presidente ha autorizzato di fatto la coltivazione di soia transgenica in alcuni stati del paese.
Pur avendo una legislazione che vieta la coltivazione di OGM, da anni in Brasile si produce una piccolissima quantità di soia Roundup Ready (il cui brevetto appartiene alla Monsanto), in certi stati del sud del paese, dove alcuni produttori agricoli importano clandestinamente semi OGM dall’Argentina. Nel marzo scorso il governo brasiliano ha autorizzato la vendita della soia Monsanto raccolta durante il 2003. Il passo successivo lo ha fatto il vice presidente, autorizzando per decreto il 25 settembre scorso l’utilizzo dei semi OGM prodotti nel 2003 per piantare la soia per il prossimo raccolto. Non solo: il decreto obbliga i contadini che utilizzeranno questi semi a pagare le royalties alla Monsanto su semi che la stessa legislazione ritiene illegali (essendo infatti importati di contrabbando). I produttori agricoli dovranno firmare un documento dove si riconosce l’illegalità della coltivazione (sic!), ma che li impegna a coprire gli eventuali diritti economici reclamati da terzi. Insomma, un condono in stile ‘made in Italy’ per chi utilizza i semi di soia OGM.
La scelta del governo brasiliano sembra essere solo una misura provvisoria, “per far fronte alla pressione di 150.000 famiglie di contadini che avrebbero rischiato di perdere il raccolto”, ci dice Marcus Barros, presidente dell‘IBAMA, l’organo del Ministero dell’Ambiente che si occupa del controllo ambientale. In questi giorni, infatti, è stato presentato il disegno di legge governativo per la sicurezza ambientale.
La questione è più delicata di quanto in prima battuta possa sembrare, visto che il Brasile è il secondo produttore mondiale di soia, dopo gli USA, e visto che lo stesso presidente della Repubblica Lula si era espresso in campagna elettorale decisamente contro ogni ipotesi di concessione a favore delle multinazionali delle sementi. Il Brasile, poi, possiede attualmente una coltivazione di soia sostanzialmente OGM-free ed è quindi una alternativa reale per il mercato dell’Unione Europea che, come è noto, è sempre più orientato verso l’agricoltura non contaminata dal transgenico. Tale posizione di forza del Brasile ha comportato un crollo delle esportazioni di soia prodotta negli Stati Uniti, dove la Monsanto ha da anni imposto la Roundup Ready.
Ora la decisione del governo brasiliano apre un precedente pericoloso. Il dibattito, anche all’interno del governo Lula, è ovviamente forte.
Il caso Brasile pone in evidenza la complessità della questione OGM. Il principio del controllo delle coltivazioni da parte delle multinazionali ‘agrotech’ (o agrobusiness, come spesso vengono definite) è la prossima frontiera della mondializzazione, che vede spesso contrapposti i diritti dei piccoli produttori e dei consumatori all’espansione del mercato.
In questo senso la questione del pagamento dei diritti è fondamentale: chi utilizza sementi GM paga all’impresa produttrice una sorta di ‘affitto’ della caratteristiche della specie vegetale ottenute con la modifica del patrimonio genetico. Ogni volta, quindi, che il seme che contiene l’innovazione genetica viene utilizzato, il produttore agricolo - sia esso una grande impresa o un semplice contadino - è tenuto al pagamento delle royalties. In questa maniera si rompe la tradizione che impone al contadino di conservare parte del raccolto per poter utilizzare i semi per la successiva stagione.
Questo meccanismo rende possibile lo scenario dipinto da Rifkin, facendo immaginare conseguenze disastrose per le fragili economie dei paesi in via di sviluppo. Nel caso specifico del Brasile appare chiaro come una politica di controllo delle sementi da parte di una oligarchia economica internazionale potrebbe, nel breve periodo, condizionare gli accordi di scambio agricoli, che sono sul tavolo delle trattative aperte con l’Unione Europea e con gli USA. La stessa politica di riforma agraria che il governo guidato dal PT (Partidos dos Trabalhadores) vuole attuare nei prossimi anni potrebbe risentire della pesante influenza che gruppi come la Monsanto riescono ad esercitare sul cammino economico del paese.

 

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Num 30 Novembre 2003 | politicadomani.it