Pubblicato su Politica Domani Num 3 - Marzo 2001

KIPPUR

 

Amos Gitai, regista del film, evoca la sua personale esperienza di guerra in Israele (la 'guerra dei sei giorni' del 1973).

La storia è scarna: due amici, partiti per combattere nelle file dell'esercito israeliano contro gli invasori, Egiziani e Siriani, si trovano a far parte del gruppo di soccorso dei feriti lungo le linee di combattimento. Non c'è nulla di glorioso o di eroico in questa loro esperienza di guerra. Il nemi-co neanche si vede. Nemici sono il tempo, la stanchezza, la paura, il fango. La scena del disperato tentativo di porre in salvo un ferito cercando di tirarlo via (e tirarsi essi stessi via) dal fango che continua a trattenerli, è fra le più toccanti del film. Il rumore continuo degli elicotteri fa da colonna sonora. Gli interni della base delle operazioni (poco più che quattro sedie e due brandine), luogo di personali confidenze di toccante umanità, e il buio della carlinga piena di feriti dell'elicottero si al-ternano agli spazi luminosi degli esterni, terre aride, dove gli unici segni di presenza umana sono carcasse di auto e carri armati.

Il film, nella sua durezza, suscita emozioni profonde. Non si combatte in questa guerra, la si subisce soltanto con la consapevolezza della sua totale inutilità. Amos Gitai ha realizzato in 'Kippur' un'opera di grande valore artistico, ben lontana dai canoni dei tradizionali film di guerra, ma proprio per questo, probabilmente, molto più vera.

Maria Mezzina

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