Pubblicato su Politica Domani Num 3 - Marzo 2001

Paesi in ruota di sviluppo
CRICETI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI
Due parole sul libero mercato

 

C'è chi ha bollato la locuzione 'paese in via di sviluppo' come un eufemismo deprecabile, che maschera bellamente una situazione di sottosviluppo che nel corso degli anni si è andata sempre aggravando. Personalmente non sono d'accordo. Credo anzi che il termine sia esplicativo della sorte di quei paesi, come raramente capita che una parola possa rendere conto di una realtà. La realtà del terzo mondo è proprio questa: la 'via', l'eterno movimento.
Verso quale meta? Per quale fine? Una società più vivibile? Non più fame? Non mortalità infantile? Niente affatto: il modello è uno sviluppo disarmonico, forsennato, fine a se stesso. Qualcuno ha sostenuto che il libero mercato sarebbe stato fonte di benessere diffuso poiché è nell'interesse di chi vende che la schiera dei possibili acquirenti sia nutrita. Difatti, quando si è accorto delle larghe fasce di popolazione impossibilitate a partecipare al banchetto consumistico, il protervo dio Mercato ha inventato la 'via dello sviluppo'. Trovata geniale davvero: dare ai poveri quel tanto che basta per renderli consumatori di quello che produce l'occidente; imbrigliarli ed indirizzarli all'acquisto dei prodotti che esso vuole vendere. Più che una via, quella dello sviluppo, ha l'aria di essere una di quelle ruote che mettono nelle gabbie da criceti per far correre l'animaletto senza che si sposti di un passo. Naturalmente quella 'dello sviluppo' è solo una delle tante ruote, in una delle quali corriamo anche noi. Nella nostra si corre un po' più comodamente, per turni d'otto ore (salvo straordinari ben retribuiti), ma l'energia va in ogni modo alla 'centrale' di dio Mercato. Saremo pasciuti e curati, ma restiamo pur sempre dei criceti: valiamo, non come uomini, ma come consumatori.
Esiste davvero un dio Mercato, dotato di autonoma coscienza? Se non esiste, chi è che ci fa correre dimentichi di tutto? A chi giova tutto ciò? A noi, verrebbe spontaneo rispondere. A quel quinto ricco della popolazione che dispone dell'86% del prodotto nazionale lordo mondiale, dell'82% delle esportazioni, del 68% di tutti gli investimenti diretti esteri, del 74% delle linee telefoniche, del 91% dei clienti di internet. Siamo quindi noi che godiamo i frutti del libero mercato? È vero, abbiamo la pancia piena, ma a quale prezzo? Abbiamo rinunciato alla nostra libertà. Ci sono imposti bisogni fittizi. Abbiamo rinunciato a mettere in discussione lo status quo in nome della desiderabilità sociale.
Anche se tutto ciò non ci scuotesse, come potremmo giustificare l'ingiustizia che perpetriamo dinanzi alla nostra coscienza? Dimenticavo: quella l'avevamo venduta ancor prima della libertà. Forse sarà la natura, incapace di sostenere il nostro tumorale sviluppo, a ribellarsi. Forse saranno i popoli oppressi a prendere le armi contro chi impone loro un modello culturale, sociale ed economico presentato come unico ed indiscutibile, che fa tabula rasa dei costumi precedenti.
L'economia mondiale è una locomotiva lanciata a folle velocità su un binario morto; per quanto costi, va fermata. Non va fermata solo in nome di una più equa distribuzione delle risorse o di vaghi proclami ambientalistici, va fermata perché è insostenibile. Un'economia che abbisogna di una continua crescita per sostenersi è destinata al collasso.
Non potremo dormire sonni tranquilli fino a che continueremo ad essere come criceti pazzi, a correre per un dio che noi stessi abbiamo creato, ma di cui abbiamo perso il controllo, chiudendo gli occhi di fronte alla miseria che esso produce.

Giorgio Innocenti

 

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