Pubblicato su Politica Domani Num 28/29 - Sett/Ott 2003

Lettera aperta al Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri
“Pazzi d’amore”
Roma, 6 settembre 2003

 

Signor Presidente,
Condivido pienamente quanto da lei dichiarato alla stampa circa le condizioni mentali dei magistrati italiani.
Penso proprio che sia vero quanto da lei affermato e cioè che coloro (o molti di coloro) che svolgono le funzioni giurisdizionali nel nostro Paese sono “mentalmente disturbati”.
Ho lasciato nel 1999 il mio lavoro di magistrato volontariamente proprio quando mi sono accorto, fortunatamente in tempo utile, che ero anch’io sulla stessa china. Me ne sono accorto, in particolare, quella notte che insieme ai Vigili del fuoco, ai Carabinieri, alla Polizia, ai Vigili Urbani e ai numerosi volontari ho assistito “per dovere di ufficio” al recupero dei corpi delle 27 vittime rimaste intrappolate nel crollo del palazzo di Via Vigna Jacobini a Roma.
Ne avevo viste tante di “brutture”: persone morire, disgrazie di ogni tipo, ma avevo visto anche troppi amici e colleghi uccisi come bestie solo perché avevano avuto “la pretesa” di voler fare il loro mestiere con impegno, serietà ed onestà: erano veramente dei pazzi….
Quella notte che potenti fari illuminavano a giorno la scena del crollo del palazzo, mi passarono davanti agli occhi, come in un film, le immagini indimenticabili dei volti dei miei amici Guido, Mario e Giovanni.
Guido Galli, magistrato che spero anche lei ricordi. Uomo di cultura, professore universitario, padre affettuoso di cinque figli, ucciso a Milano dalle Brigate Rosse. Guido Galli fu il mio maestro di vita, il mio esempio luminoso, cui ispirai la mia professione di magistrato. Devo a lui e ai suoi consigli se mi convinsi a riprendere gli studi universitari presso la Statale di Milano che avevo interrotto per lavorare. Così divenni magistrato anch’io.
Mario Amato, Sostituto Procuratore della Repubblica prima a Rovereto e poi a Roma dove fu ucciso dai NAR. Qualcuno ricorderà quell’anonimo signore (mi auguro lo ricordi anche lei) crivellato di colpi di pistola alla fermata dell’autobus. Quel signore le cui suole delle scarpe presentavano dei buchi ma non in conseguenza dei proiettili…
Mario era un uomo mite, gioioso, sempre sorridente. Magistrato integerrimo impegnato totalmente nel suo delicato compito di Pubblico Ministero esperto di terrorismo di destra.
Girava senza scorta ed utilizzava i mezzi pubblici per i suoi spostamenti. Si era appena trasferito a Roma da Rovereto e ci salutammo per l’ultima volta mentre io mi trasferivo alla Procura della Repubblica di Trento.
Giovanni Falcone, infine, ucciso a Palermo nel 1992. Credo che anche lei, Signor Presidente, lo ricordi ancora.
Conobbi Giovanni Falcone nel 1989 mentre ero magistrato addetto al Dipartimento di Prevenzione e Pena del Ministero della Giustizia. Dirigevo l’Ufficio che si occupava dei detenuti sottoposti alla massima sicurezza. Giovanni si rivolgeva spesso al mio Ufficio, specialmente quando al carcere dell’Ucciardone di Palermo le cose non funzionavano a dovere. Lamentava, in particolare, l’eccessivo lassismo che era usato nei confronti dei detenuti mafiosi che talora venivano privilegiati nell’assegnazione dei lavori all’interno del carcere. Diventammo amici e ci capitava spesso di incontrarci a Roma e altrove per partecipare insieme a vari convegni dei quali il più delle volte egli era il relatore principale. Giovanni Falcone era infatti un punto di riferimento per tutti i magistrati, specialmente per quelli giovani, che si occupavano di criminalità organizzata.
Pochi mesi dopo la sua uccisione chiesi ed ottenni dal CSM di trasferirmi per un periodo presso la Procura di Palermo per essere di supporto ai colleghi siciliani impegnati nella lotta alla mafia.
Dopo quattro giorni dal mio arrivo a Palermo fu trucidato anche Paolo Borsellino, un altro magistrato che pagò con la vita la sua “follia”.
Signor Presidente del Consiglio, ho voluto ricordare questi colleghi tra quelli con i quali ho avuto rapporti personali di affetto e di amicizia oltre che di lavoro. Le posso con tutta sincerità testimoniare che effettivamente erano tutti “pazzi”, pazzi d’amore per il loro lavoro, pazzi d’amore per la giustizia, pazzi d’amore per la gente onesta, pazzi d’amore per la libertà e la democrazia, ma soprattutto pazzi d’amore per questa nostra Italia per la quale hanno sacrificato la propria vita consentendo, in tal modo, anche a lei di essere eletto democraticamente Presidente del Consiglio dei Ministri.

La saluto con doveroso rispetto
Dr. Angelo Palladino

 

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