Pubblicato su Politica Domani Num 28/29 - Sett/Ott 2003

Il dopo Iraq e la dottrina del debito odioso

di Alessandra Mancini

Il dopo Saddam sembra preannunciarsi più difficile del previsto. Molteplici e complesse sono le proposte circa le strategie di intervento volte a determinare la ricostruzione del paese.
Lo scorso anno, due economisti, Michael Kremer e Seema Jayachandran hanno riportato alla luce la teoria del “debito odioso” suggerendo una modalità per metterla in pratica.
La dottrina, elaborata dopo la prima guerra mondiale da un giurista francese, Alexander Sack, afferma che i debiti accesi da governi illegittimi, come quelli dittatoriali, contratti cioè senza l’approvazione della popolazione e non a beneficio della comunità, non dovrebbero essere trasferiti ai successivi governi democratici. Questo per garantire i governi democratici stessi.
Pur risaltando subito l’adeguatezza della teoria formulata, risulta però ben più complesso stabilire come questa teoria possa tradursi nella realtà. La proposta dei due economisti citati punterebbe sulla creazione di un’agenzia internazionale con il compito di identificare i regimi odiosi. Ma è proprio qui che iniziano i “ma”: chi, e con quali criteri, può essere in grado di identificare e classificare un regime come odioso? E qualora si riuscisse a farlo si sarebbe sicuri dell’oggettività della selezione? Non ci sono dubbi che il regime di Saddam rientri a pieno titolo nel gruppo dei regimi odiosi, tuttavia diventa laborioso individuare una strategia che sia in grado di gestire l’ammontare dei debiti finanziari dell’Iraq.
Quest’ultimi, secondo le stime ufficiali, ammonterebbero a circa 380 miliardi di dollari, equivalenti a circa 16 milioni per abitante, una cifra sicuramente al di sopra delle potenzialità del paese. I 380 miliardi di dollari sono così ripartiti:
Più del 50%, circa 199 miliardi di dollari, sono stati contratti nei confronti di paesi come il Kuwait e gli altri paesi arabi confinanti, e derivano dalle richieste di indennizzo connesse all’occupazione del Kuwait.
Il debito estero vero e proprio oscilla tra i 62 e i 130 miliardi ed è ripartito tra la Russia e la Francia, per una piccola parte, mentre quasi il 90% è riconducibile a paesi come il Kuwait, l’Egitto e gli Stati del Golfo.
Vi sono infine i debiti di fornitura, che ammontano ad una somma che oscilla intorno ai 57 miliardi di dollari, per i quali al 90% è coinvolta la Russia, che avrebbe fornito le armi al regime di Saddam.
Analizzando questi dati, si può comprendere come l’applicazione della dottrina del “debito odioso” abbia un costo che va ben oltre i valori prettamente numerici e implica una scelta che sia eticamente fondata. A sopportare il costo dovrebbero essere soprattutto la Russia e gli Stati Arabi. Da parte sua la Russia potrebbe però pretendere l’aiuto (a suo vantaggio) per tutti quei debiti accesi dal precedente regime sovietico, che sarebbe difficile non qualificare come odioso. Senza dimenticare che gli Stati Arabi sono anch’essi regimi dittatoriali ma sono anche i più stretti alleati degli Stati Uniti nella zona.

 

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