Pubblicato su Politica Domani Num 28/29 - Sett/Ott 2003

Cancun
Commercio senza limiti
Negli ultimi anni il WTO ha assunto poteri eccessivi su temi delicati
come salute e alimentazione; il numero degli ambiti cui prevede d’estendere
la propria autorità è in continuo aumento

di Giorgio Innocenti

Questione centrale è quali siano gli ambiti sui cui l’Organizzazione Mondiale del Commercio può estendere il proprio governo. In principio la sfera d’influenza si limitava al solo commercio di beni (i cosiddetti GATT) in breve è stata estesa ai servizi (i GATS), poi ai diritti di proprietà intellettuale (i TRIPS), agli investimenti nel settore del commercio (TRIMS), all’agricoltura (AoA) ed, in fine, agli standard sanitari e fitosanitari (SPS). A rigore tutto quello che può essere comprato o venduto rientra potenzialmente in tale sfera.
Ci sono beni e servizi i quali, ammesso che possano essere oggetto di compravendita, necessitano di regole particolari in quanto la possibilità di accedervi rientra nei diritti fondamentali dell’uomo (è il caso dell’acqua, del cibo, di alcuni farmaci) oppure beni e servizi strategici dal cui controllo dipende la sovranità di uno stato (può essere il caso ad esempio del settore energetico). Con ciò non intendo che tali ambiti non vadano regolamentati ad un livello sovranazionale, la questione è quale organismo debba essere deputato a farlo. Se si tratta proprietà intellettuale sui farmaci (e quindi di salute pubblica), l’Organizzazione Mondiale della Sanità mi pare più titolata del WTO. Lo stesso dicasi della FAO se si passa alla questione dell’agricoltura. Certo è un orizzonte improbabile con le attuali strutture ma mi pare una follia che un’organizzazione, di dubbia democraticità, deputata a regolare il commercio decida di diritto all’alimentazione, di salute pubblica, determini le politiche energetiche di uno stato sovrano e quant’altro.
Le competenze del WTO a qualcuno non sembrano ancora sufficienti: le “Singapore issues” (dalla città in cui, nel ’96, si cominciò a parlare di esse) sono un elenco di questioni alle quali l’Ue e gli Usa vorrebbero estendere l’autorità del WTO. Si tratta di regolamentare gli investimenti, facilitare gli scambi (sveltendo le dogane, ad esempio), favorire la trasparenza delle gare d’appalto e degli approvvigionamenti degli stati. Insomma un modo per facilitare la penetrazione economica dei paesi ricchi in quelli poveri. In ultima analisi qualcosa che ricorda molto da vicino quel famoso MAI (accordo multilaterale sugli investimenti), fallito nel ’98, che aveva catalizzato le ostilità di paesi poveri, ONG e movimenti.
Il comunicato stampa del Cocis (federazione che riunisce 32 Ong di sviluppo e solidarietà internazionale) diffuso dopo il fallimento della ministeriale tocca il tema delle competenze: “[Il Cocis] considera necessario mantenere vigile l’attenzione democratica su questo organismo e auspica una profonda trasformazione del WTO, che ne riduca da subito i mandati, i compiti e gli ambiti d’iniziativa, e ne cambi profondamente, democratizzandoli, i modi di funzionamento, restituendo la competenza in materie cruciali quali i diritti del lavoro, lo sviluppo, le regole per gli investimenti, l’ambiente e l’agricoltura alle agenzie specializzate delle Nazioni Unite”. Non si può che sottoscrivere.

 

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