Pubblicato su Politica Domani Num 28/29 - Sett/Ott 2003

Diritto alla salute
Accordo sui farmaci
Raggiunto un accordo sulle importazioni parallele ma le ONG avvertono:
è un sistema che protegge solo gli interessi delle case farmaceutiche

di Giorgio Innocenti

L’accordo TRIPS – in vigore dal ’96 – disciplina gli aspetti relativi al commercio dei diritti di proprietà intellettuale. Chiunque inventi qualcosa ha diritto a brevettarlo per evitare che altri se ne impossessino. Il brevetto assicura all’inventore un periodo d’esclusiva sulla produzione e la vendita dell’invenzione. La legislazione internazionale ha previsto una deroga al sistema dei brevetti fino al 2006 per 48 paesi poveri.
Naturalmente anche i farmaci rientrano tra le invenzioni brevettabili e, nel loro caso, l’esclusiva dura 20 anni. Farmaci indispensabili per curare malattie come malaria, Aids e tubercolosi hanno brevetti non ancora scaduti. Ciò determina costi proibitivi per i paesi poveri dove queste malattie sono più diffuse.Vi sono dunque interessi contrapposti: da una parte quello delle imprese che detengono i brevetti a realizzare il più alto profitto possibile, dall’altra quello dei malati a curarsi e dei paesi a salvaguardare la salute pubblica. C’è da aggiungere che, in un sistema in cui la ricerca farmacologia è quasi completamente in mani private, se non ci fossero i diritti di proprietà intellettuale nessuna azienda intraprenderebbe costosissime ricerche che solo in pochi casi portano a risultati commerciabili.
Nella primavera del 2001 alcune multinazionali del farmaco avviarono un’azione legale contro il Sudafrica colpevole di voler, con la Legge Mandela, produrre in proprio farmaci retrovirali (per l’Aids) protetti da brevetto. La mobilitazione della società civile mondiale, che incluse un boicottaggio delle case farmaceutiche coinvolte, le indusse a desistere. Forse anche grazie all’attenzione suscitata da questa crisi, durante la ministeriale del WTO di Doha, tenutasi pochi mesi dopo, i paesi poveri ottennero che fossero apportate delle modifiche TRIPS. Queste consentivano la sospensione dei brevetti in caso di crisi sanitaria nazionale.
Rimaneva un problema: uno stato può produrre in proprio i farmaci generici necessari invocando quella che si chiama “licenza forzata” ma non può ricorrere alle “importazioni parallele”, in altre parole comprare il generico da chi lo offre al prezzo più accessibile. Insomma un accordo positivo per i paesi che dispongono di un’industria farmaceutica ma inutile per quel 25 per cento di popolazione africana infettata dall’Aids, che abita in paesi privi di possibilità produttive.
Così per due anni le pressioni di ONG e paesi poveri puntano a rendere legali, in casi d’emergenza, anche le importazioni parallele. Questa possibilità è però contrastato dagli USA e, in maniera minore, dall’UE (dove hanno sede la maggior parte delle grandi case farmaceutiche). Essi sostengono, infatti, che le importazioni parallele esporrebbero al rischio di “re-importazione” di un farmaco a basso costo. Secondo tale versione se un paese povero acquistasse un farmaco generico, potrebbe, una volta soddisfate le proprie necessità interne, decidere di rivendere quel prodotto ai paesi occidentali. Sul mercato del Nord ricco si troverebbe quindi il farmaco brevettato in competizione con il generico, meno caro.
Il 30 agosto scorso, a sorpresa, finalmente i paesi aderenti al WTO trovano un accordo sulle importazioni parallele. Un grande risultato, secondo molti, di buon auspicio per il prossimo vertice di Cancun e che dimostra la capacità dell’Organizzazione di decidere su temi riguardanti la salute. Peccato che le ONG impegnate nella campagna per l’accesso ai farmaci si affrettino a condannare l’accordo: esso prevedrebbe inutili lungaggini che lo renderebbero vano.
Secondo le nuove norme, infatti, un paese che vuole importare un medicinale deve notificare al consiglio dei TRIPS il nome e la quantità di prodotto di cui necessita. Operazione, che richiede un capacità di previsione di questioni sanitarie che le amministrazioni dei paesi poveri spesso non hanno. Il paese importatore deve poi dimostrare di non poter produrre da sé il farmaco richiesto. Non si tiene conto che impiantare un’impresa farmaceutica per produrre un farmaco in quantità limitata e per tempi forse brevi è una follia. Un paese che invece vuole esportare un farmaco deve notificare le quantità che intende esportare. Le confezioni di farmaco destinate a paesi terzi devono essere diverse da quelle per il fabbisogno interno (questo per evitare la “re-importazione”). Sì impedisce così di stoccare scorte per le urgenze.
Va da sè che in caso d’emergenza queste lungaggini burocratiche impedirebbero d’intervenire prontamente. Ciò conferma quanto sia rischioso sottoporre temi relativi alla salute ad Organizzazione del Commercio.

 

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