Pubblicato su Politica Domani Num 26/27 - Giugno/Luglio 2003

Cinema denuncia
Il posto dell’anima
Un nuovo neo-realismo nel cinema italiano

Fabio Antonilli

L’incapacità nel districarsi dinanzi ad una nuova difficile realtà, il coraggio che sembra voler cedere al senso di impotenza e il prendere atto che il proprio destino è nelle mani altrui fanno nascere, in un uomo, la consapevolezza che si può contare solo su se stessi. Ma come è possibile questo se non hai più un lavoro, quella dignità che viene dal lavoro, che ti solleva da uno stato di abiezione? È questo l’interrogativo che si pone il film “Il posto dell’anima”. Vi si narra la storia di un gruppo di operai licenziati in massa da una multinazionale estera, che si trovano davanti ad una situazione drammatica nella quale riescono, nonostante tutto, a trarre dalla loro anima la forza per poter ancora lottare - “l’unica cosa che nessuno potrà mai toglierci” dice Michele Placido nel film. Prodotto da Lionello Cerri per Albachiara e RaiCinema, con la regia di Riccardo Milani, che è anche co-sceneggiatore assieme allo scrittore Domenico Starnone, il film vede tra gli interpreti Silvio Orlando (Antonio), Claudio Santamaria (Mario), Michele Placido (Salvatore), Paola Cortellesi (Nina) e Flavio Pistilli (Giannino), quest’ultimo già protagonista di un altro film di Milani “La guerra degli Antò” (1999).
Antonio, Mario e Salvatore sono tre operai che, insieme a decine di loro colleghi, decidono di non arrendersi dopo la perdita del lavoro e organizzano diverse forme di protesta grazie alle quali, poco a poco, riusciranno ad approdare sui TG nazionali, al Parlamento Europeo e, infine, alla sede centrale della multinazionale. Proprio qui i tre protagonisti anziché tentare “l’ultimo assalto”, ormai consapevoli di non avere più possibilità di riavere il loro posto, con un gesto estremo preferiscono mostrare la loro fierezza, il loro orgoglio. Il film assume anche i toni di una commedia quando i protagonisti, nella loro lotta disperata, vengono affiancati dai familiari coinvolti indirettamente nel trauma del licenziamento. Ma il tono agrodolce è costretto presto a lasciare il passo a quello drammatico quando si scopre che molti dei loro ex colleghi sono morti per cause imputabili alle condizioni nelle quali erano costretti a lavorare, senza che nessuno però avesse mai avuto il coraggio di denunciare il fatto proprio per - ironia della sorte - il timore di perdere il posto di lavoro.
Riccardo Milani con questo film dimostra di voler spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla realtà e la sua crudezza. “Trovo giusto - spiega il regista - dover raccontare anche i drammi delle classi meno garantite. E non solo quelli degli ambienti più agiati, tormentati, invece, da problemi psicologici”.
La sua opera rompe con una produzione cinematografica che per molto tempo si è allontanata dal verismo. Per molto tempo, specialmente negli anni ’80, il cinema non è stato in grado di andare al di là della finzione, della farsa e di una visione ipocrita e occultata della realtà. “Il posto dell’anima” ci dimostra che il cinema italiano sta vivendo una nuova stagione, dopo quella del neo-realismo del secondo dopoguerra. Questa vocazione, di molti attori e registi, nasce dalla volontà di dare uno slancio alla produzione artistica, che oggi trae la sua linfa vitale da una nuova presa di coscienza, da un senso di rivincita nei confronti di un mondo troppo fortemente dominato dal superficialismo e dalla logica del profitto. Si tratta di una reazione che tenta di riequilibrare una consistente perdita di valori di cui l’intera società paga le conseguenze.

 

Homepage

 

   
Num 26/27 Giu/Lug 2003 | politicadomani.it