Pubblicato su Politica Domani Num 26/27 - Giugno/Luglio 2003

Un piccolo mondo
Impronta ecologica
Quanto spazio occupiamo?

Giorgio Innocenti

Considerato che la quantità di terra disponibile per l’umanità è una grandezza finita e, di conseguenza, la produttività (non ostante le teorie economiche sembrino ignorarlo) è limitata, l’equa distribuzione delle risorse è un problema che non può essere ancora aggirato. Le diverse nazioni usufruiscono in modo diseguale della capacità bioproduttiva del pianeta: i paesi più ricchi hanno un consumo di risorse ed una produzione di rifiuti pro capite molto più elevata dei paesi poveri. Ma com’è possibile un’economia realmente sostenibile ed equa? È necessario in primo luogo poter misurare i vari aspetti della sostenibilità: i limiti imposti dalla natura, il nostro impatto su di essa, la nostra qualità della vita. Per far fronte a questa necessità, tra gli anni Ottanta e Novanta, l’ecologo William Rees ed i suoi collaboratori misero a punto il metodo dell’Impronta Ecologica. Tra gli assistenti di Rees spiccava Mathis Wackernagel, oggi divenuto il maggiore esperto e divulgatore del metodo. L’approccio dell’Impronta mostra un netto mutamento di prospettiva rispetto alla tradizionale domanda “Quante persone possono vivere sulla Terra?”; la domanda, infatti, diventa: “Di quanta terra ciascuna persona ha bisogno per vivere?”.
L’impronta ecologica è quindi definita come l’area totale di ecosistemi (terrestri ed acquatici) richiesta per produrre le risorse che una determinata popolazione umana (individuo, famiglia, comunità, regione, nazione ecc.) consuma e per assimilare i rifiuti che la stessa popolazione produce.
Il calcolo dell’Impronta esige una stima piuttosto accurata delle risorse consumate e dei rifiuti prodotti. Questi flussi di risorse e rifiuti devono poi essere espressi in termini d’area biologicamente produttiva, necessaria a garantire queste funzioni. Quest’operazione è detta “equivalenza d’area” e mira ad esprimere in modo sintetico il rapporto uomo-ambiente: se lo spazio bioproduttivo richiesto è maggiore di quello disponibile, il livello dei consumi non è sostenibile. L’Impronta ecologica di una persona è data dalla somma di sei componenti: la superficie di terra coltivata necessaria per produrre gli alimenti vegetali, l’area di pascolo necessaria per quelli animali, la superficie di foreste necessaria per produrre legname e carta, la superficie marina necessaria per produrre pesci e frutti di mare, la superficie di terra necessaria per ospitare infrastrutture edilizie e la superficie forestale necessaria per assorbire le emissioni d’anidride carbonica risultanti dal consumo energetico dell’individuo stesso. L’area complessiva del nostro pianeta è di circa 51 miliardi di ettari, meno di 15 miliardi sono terre emerse. Di questi circa 1,5 miliardi di ettari (10% circa delle terre emerse) sono aree coltivate (quasi per la metà a cereali); circa 3,4 miliardi di ettari (23%) sono classificati come pascoli permanenti e praterie, (moltissimi utilizzati per l’allevamento di bestiame); circa 5,1 miliardi di ettari (pari al 33%) sono costituiti da foreste ed aree boschive; altri 5 miliardi circa di ettari (32%) sono costituiti da suoli ghiacciati e rocciosi, deserti, tundre, laghi e fiumi. In questa cifra sono inclusi anche i circa 0,3 miliardi di ettari di terreni edificati dalla specie umana. Sommando i terreni coltivati, i pascoli, le aree edificate e parti delle altre tipologie che sono progressivamente trasformate dall’intervento umano risulta un quadro di aree modificate direttamente dall’uomo (per non parlare di quelle modificate indirettamente dai nostri rifiuti) che supera il 35% della superficie delle terre emerse.
Un’equa distribuzione delle risorse presuppone che sia assegnata a ciascuno una quota di “terra media” che comprenda tutte le tipologie. Sottratto il 12% delle terre emerse che, secondo alcune stime, andrebbero lasciati interamente ai milioni di specie animali esistenti (per mantenere il minimo indispensabile di biodiversità) e diviso il rimanente per la popolazione mondiale rimangono 2 ettari pro capite. Dando fede alle proiezioni di crescita delle Nazioni Unite, nel 2050 dovremmo raggiungere i 9,3 miliardi. Dividendo da buoni fratelli, la terra disponibile pro capite scenderebbe a 1,2 ettari, attualmente in Italia abbiamo un’impronta che si aggira attorno ai 3,8 ettari.
Delle due l’una: o accantoniamo l’impronta, continuiamo a consumare dissennatamente e speriamo che Dio ce la mandi buona, o cominciamo a calcolare seriamente la nostra impronta ed avviamo delle politiche tese ad ottimizzare la filiera produttiva, a limitare i rifiuti e, soprattutto, a limitare i consumi. Che scegliete?

 

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