Pubblicato su Politica Domani Num 26/27 - Giugno/Luglio 2003

Politica estera
L'anomalia argentina
L'Argentina ripone in Kirchner le ultime speranze

Fabio Antonilli

L'Argentina come Maradona, entrambi non smettono più di stupire. L'accostamento con l’ex campione di calcio, stando alle notizie sulle ultime elezioni presidenziali, sembra più che mai appropriato se non altro perché ormai da entrambi i fronti giungono notizie clamorose, che hanno dell'incredibile, fino ai limiti del grottesco.
L'appuntamento con la storia era fissato per il 27 di aprile quando, tra i 19 candidati alle elezioni, tre nomi emergevano su tutti: Carlos Menem (già Presidente e propugnatore di una politica neo-liberista), Nestor Kirchner (più progressista) e Ricardo Lopez Murphy (ex ministro dell'economia contestato per i tagli alla spesa pubblica). Accomunati dalla provenienza politica - vengono tutti dalle file del perdonismo -, i tre riescono a fare di una personalistica, nonché populistica, gestione del potere la variante essenziale per potersi differenziare l'uno dal'’altro. Alla vigilia elettorale i sondaggi li presentano come gli unici in grado di poter vincere visto che l’elettorato argentino, circa 25 milioni di persone, sembra orientato principalmente verso candidati conservatori, relegando a pochissime speranze di vittoria i 16 candidati rimanenti che caldeggiano, invece, una politica più radical-riformista. Il giorno dopo le elezioni i risultati, infatti, dimostrano di rispecchiare fedelmente le proiezioni dei sondaggi. Menem ottiene il 24,3% dei consensi mentre Kirchner il 22%: si va al ballottaggio.
All'appuntamento del 18 maggio Menem si presenta come l’outsider: i suoi dieci anni di governo hanno diviso il Paese in due correnti di opinione, menemisti e anti-menemisti, eppure da lui è possibile aspettarsi ancora molte sorprese. In effetti Menem non tarda ad inscenare una commedia che renderà la situazione argentina ancor più anomala. A pochi giorni dal ballottaggio con un “gesto di vigliaccheria”, come lo ha definito Kirchner, decide di ritirarsi sapendo che sarebbe andato incontro a una sonora sconfitta - i sondaggi lo davano, infatti, perdente con una differenza dal 30% al 40% - lasciando così via libera all'insediamento del suo antagonista.
Questa ambigua, quanto oscura vicenda rischia di costituire per l’Argentina una mina vagante pronta in qualsiasi momento a destabilizzare gli equilibri appena trovati. Il Capo del Governo, Nestor Kirchner, che dal 25 maggio è subentrato al presidente uscente Eduardo Duhalde, governa con la più bassa legittimazione popolare dal 1937 ad oggi, poco più del 22%. È chiaro quindi che il suo operato sarà costantemente sotto i riflettori, soprattutto dei suoi oppositori, che non mancheranno occasione per criticarlo e magari ricordargli ad ogni occasione che egli non è sostenuto dalla maggioranza della popolazione.
È clamorosamente mancato in Argentina quel ricambio della classe politica in cui molti speravano, se non altro perché i cittadini si sono mostrati ancora una volta poco propensi a cambiamenti radicali, un po' per sfiducia, un po’ anche per il timore di avventurarsi verso un futuro peggiore. Nonostante la crisi economico-finanziaria e la corruzione dilagante nei Palazzi del Potere, la classe dirigente peronista, ritenuta la maggiore responsabile del tracollo, è ancora salda al suo posto. Questa volta si presenta con il volto di Nestor Kirchner, ex governatore della Patagonia. La situazione sembra senza uscita, per questo anche i più disillusi confidano con le loro ultime, residue speranze che il nuovo Presidente possa riportare in Argentina una situazione di normalità sociale, nonché di ripresa economica.

 

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