Pubblicato su Politica Domani Num 25 - Maggio 2003

Libere riflessioni
Fra la caduta del Muro e le Twin Towers
Berlino, New York e la riscossa americana

Alberto Foresi

Con la caduta, nell'ottobre del 1989, del muro di Berlino, sembrò iniziare, agli occhi dell'opinione pubblica mondiale, una nuova epoca. Ci si aspettava un rapido processo di democratizzazione e una contestuale apertura verso forme di libero mercato nei paesi dell'Europa orientale, con un conseguente miglioramento della vita in quelle nazioni. Le aspettative si realizzarono ben più faticosamente di quanto previsto, in quanto non è facilmente esportabile un modello di sviluppo senza essere provvisti di adeguate infrastrutture né è facile creare una nuova classe dirigente che sorga da una dialettica politica priva di legami con i precedenti regimi. In tale contesto è significativo che anche l'attuale presidente della Russia, Putin, fosse, in precedenza, un alto esponente del disciolto, o meglio rinominato, KGB. Ma la caduta del muro di Berlino, assurta ad emblema del fallimento dei regimi totalitari di matrice comunista, rappresentò anche il trionfo della democrazia occidentale: il superamento di una visione del mondo che lo voleva diviso in modo manicheo fra il regno del Bene e il regno del Male, la definitiva cassazione della spartizione planetaria stabilita a Yalta al termine del secondo conflitto mondiale. La conclusione della Guerra Fredda sanciva la vittoria degli Stati Uniti d'America e dei sistemi politico-economici da loro difesi e diffusi. Ma, a ben riflettere, quello che sembrava essere il definitivo trionfo statunitense, ben presto rivelò come, in realtà, essi trassero scarso vantaggio dal nuovo contesto. Gli Stati Uniti avevano fondato il proprio potere mondiale in virtù della contrapposizione ai regimi comunisti, del farsi paladini della democrazia e difensori della libertà delle altre nazioni di fronte a quella che sembrava l'inarrestabile avanzata comunista. È innegabile che, nonostante le politiche militari in parte autonome sviluppate da Francia e Inghilterra, la difesa delle democrazie europee abbia gravato primariamente sulle spalle americane e sul suo dispiegamento militare sul Vecchio Continente. La fine del pericolo comunista e il conseguente venir meno della contrapposizione tra i due blocchi, rese di fatto inutile la protezione americana. Nel nuovo contesto di collaborazione e non più di antagonismo tra Europa occidentale ed orientale, la presenza statunitense è stata via via percepita quale un'indebita intromissione da quelle medesime nazioni che, fino a poco tempo prima, avevano fondato la propria difesa proprio sul sostegno americano. E, se ciò è maggiormente palese in Europa, non diversamente accadde nel resto del mondo. Quello che sembrava essere il trionfo americano sul comunismo, rischiava, in realtà, di trasformarsi nell'inizio del declino degli americani: semplicemente non c'era più bisogno di loro e le altre nazioni potevano finalmente disporre liberamente della propria politica senza risponderne ad alcuno. È in tale prospettiva che trova fondamento la politica europea mirante ad una unione tra i vari Stati, politica che curiosamente trascura uno sviluppo militare proporzionato alla propria forza politica ed economica. Gli Stati Uniti si trovarono ad essere l'unica potenza mondiale ma, di fatto, ad aver perso il proprio ruolo sugli scenari planetari: aver vinto e, proprio in forza della vittoria, essere divenuti quasi inutili agli occhi del mondo. È evidente che in qualche modo i conti dovevano essere saldati: il guadagno da tale vittoria era troppo scarso rispetto all'impegno profuso. Gli Stati Uniti però erano comunque, agli occhi di buona parte della popolazione, i difensori della libertà e della democrazia e risultava difficile far accettare all'opinione pubblica, prima di tutto interna, una svolta espansionista senza fondate motivazioni. Ci voleva un casus belli, e il casus belli furono proprio gli attentati che l'11 settembre del 2001 colpirono materialmente i simboli del potere economico, politico e militare americano, attentati curiosamente architettati da quel fantomatico Bin Laden, già al soldo della Cia nella campagna di liberazione dell'Afghanistan dall'invasione sovietica. Attentati, quelli che sconvolsero l'America, che presentano zone d'ombra. In primo luogo era da tempo che correva voce della possibilità di attacchi aerei suicidi: ricordiamo le batterie antiaeree poste a difesa del funesto vertice di Genova, iniziativa questa che suscitò ilarità ma che gli eventi successivi dimostrarono non priva di fondamento. Secondariamente, desta stupore il fatto che la nazione più potente del mondo si sia fatta cogliere così alla sprovvista: sarà anche vero che gli attentati sono stati progettati all'estero, con l'appoggio dei Talebani afgani, forse dell'Iraq e magari della Siria. Tuttavia l'organizzazione materiale dei medesimi fu compiuta sul suolo statunitense, dove i terroristi presero lezioni di volo e riuscirono a dirottare contemporaneamente quattro veivoli di linea praticamente senza far uso di armi e a condurli impunemente sugli obiettivi fissati, senza che nessuno, fra coloro che controllano costantemente lo spazio aereo mondiale nel timore di un attacco esterno, se ne accorgesse. Parimenti è credibile che, di fronte ad azioni che necessariamente hanno richiesto una lunga preparazione e un forte coordinamento fra varie cellule del terrorismo di matrice islamica sparse nel mondo, i servizi segreti americani, europei, russi ed israeliani fossero completamente all'oscuro? E si potrebbe dissertare a lungo sui molti altri lati oscuri di quel fatidico 11 settembre. Con ciò non si vuole affermare che degli eventi così disastrosi per gli Stati Uniti siano stati voluti dalla stessa amministrazione americana, che poteva benissimo essere obbligata a dimettersi di fronte a tanta inefficienza. È, tuttavia, evidente agli occhi di tutti che proprio i fatti dell'11 settembre sono stati il fondamento e la legittimazione dell'attuale politica estera americana, volta a riaffermare, se necessario anche senza l'avvallo dell'ONU, con la motivazione della difesa della propria e dell'altrui sicurezza,:

 

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Num 25 Maggio 2003 | politicadomani.it