Pubblicato su Politica Domani Num 24 - Aprile 2003

Mondo Arabo
Nazionalismo arabo del XX secolo
Tra Modernismo e Riformismo

Alberto Foresi

Nell'immaginario collettivo europeo contemporaneo si tende ad identificare Arabismo ed Islamismo. In realtà, sebbene la maggior parte del popolo arabo sia di fede islamica, tale identificazione si rivela profondamente superficiale: basti pensare agli Arabi di religione cristiana, quali i cattolici-caldei irakeni, o ai musulmani di etnia indiana, ad esempio in Pakistan, indoeuropea, gli Sciiti persiani, cinese o slava, senza, infine, considerare gli Europei che negli ultimi decenni si sono convertiti all'Islam. Non solo. L'identificazione tra Arabi ed Islam ha anche portato spesso ad un'errata interpretazione di quanto è avvenuto nell'ultimo secolo nel Vicino e Medio Oriente. Troppo spesso è stato ritenuto di matrice religiosa ogni movimento di carattere politico mirante alla riaffermazione dell'identità nazionale e culturale pan-araba, anche in contesti che, se non apertamente contrari ad ogni sovrapposizione tra Stato e Fede, come la Turchia di Kemal Ataturk, erano comunque profondamente indirizzati alla costituzione di uno Stato laico. Non che siano mancati anche movimenti di carattere integralista: basti pensare alla rivoluzione islamica capeggiata dall'ayatollah Khomeini in Iran, circostanza che, tra l'altro, evidenziò la miopia di parte della Sinistra europea, la quale, fossilizzatasi allora in un preconcetto anti-americanismo, non si rese conto che l'ostilità di Khomeini allo Shah ed agli Stati Uniti non comportava un conseguente passaggio verso una forma di stato socialista, i cui sostenitori locali furono prontamente oggetto di una feroce repressione. Il nazionalismo arabo del XX secolo seppe non solo costituire interessanti forme di governo politico, ricordiamo almeno l'Egitto di Nasser o la Libia di Gheddafi, interessante mistione di progressismo filo-europeo, nazionalismo ed identità religiosa, ma soprattutto elaborare un pensiero modernista e nazionalista che si distinse per un'apertura verso il laicismo occidentale e, contestualmente, per il mantenimento di un'identità etnico religiosa pan-araba. Anche in quest'ambito, particolare attenzione merita l'esperienza egiziana. Nel 1938 il filosofo Taha Hussein pubblicò uno studio dal titolo L'avvenire della cultura in Egitto in cui sosteneva che l'Egitto era una nazione greco-latina di religione musulmana, inserendo pertanto la sua nazione nel novero delle nazioni di cultura europea. Non solo. Taha Hussein si spinse anche oltre la tradizione religiosa islamica evocando l'Egitto dei Faraoni quale punto d'origine dell'odierna civiltà egiziana. E l'apertura dell'elite culturale araba verso l'Europa diede anche origine a riflessioni filosofiche più direttamente influenzate dal pensiero occidentale e, in particolar modo, francese. Si registra, infatti, verso la metà del XX secolo, la diffusione nella cultura araba di un pensiero di derivazione esistenzialista, con esponente di maggior prestigio il filosofo, poeta e romanziere 'Abd al-Rahman Badawi, la cui opera principale - Il tempo esistenziale - ebbe ampia risonanza fra i giovani medio-orientali. Differiscono dal pensiero modernista, le correnti del cosiddetto riformismo islamico, al cui interno si possono collocare il pensiero tradizionalista wahabita, diffuso prevalentemente in Arabia Saudita, la Salafiyya in Siria ed Egitto e il filosofo e poeta pakistano Muhammad Iqbal. Costui, profondo conoscitore del pensiero moderno europeo - visse in Inghilterra e in Germania e viaggiò a lungo in Francia, Italia e Spagna - tentò di elaborare una via islamica verso la democrazia, una democrazia non formale e quantitativa come quella occidentale, bensì qualitativa, nata non dall'imitazione del pensiero europeo di stampo illuminista ma dall'elaborazione di quanto nella tradizione coranica ed islamica poteva sottintendere una gestione più ampia del potere. Al di là delle varie connotazioni che assunsero i movimenti riformisti islamici, un elemento comune è da individuarsi nella tendenza a promuovere un rinnovamento interno della società islamica. Di fronte al trionfalismo politico-economico dell'Occidente, si riteneva che i popoli musulmani dovessero acquisire e dominare la tecnologia moderna senza, tuttavia, rinunciare ai valori più autentici dell'Islam. È in questo aspetto che si evidenza la differenza tra Modernisti e Riformisti: i primi privilegiavano un'apertura all'Occidente senza rinunziare alla cultura musulmana; i secondi propugnavano un'apertura strumentale che manteneva comunque, quale fondamento sociale, la tradizione islamica.
È opportuno, in ultimo, ricordare il movimento dei Fratelli musulmani, fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna, in pratica un'ala integrista ed attivista dei Salafiyya volta alla riaffermazione dei tradizionali valori dell'Islam. Sebbene nato in un ambiente culturale incline all'instaurazione di un'assoluta giustizia sociale, il movimento si oppose ai tentativi di costruzione di ordinamenti di carattere socialista che caratterizzarono le nazioni arabe nella seconda metà del secolo scorso, sostenendo che ogni forma di organizzazione temporale doveva essere improntata ai precetti coranici. I Fratelli musulmani dimostrarono sempre una chiara propensione alla conquista del potere nelle varie nazioni in cui erano presenti, suscitando conseguentemente diffidenza e ostilità nei loro confronti da parte di molti governi. Il momento di maggiore diffusione di tale movimento si ebbe durante la rivoluzione egiziana del 1952, ma, nel 1954, in seguito ad un fallito attentato ordito ai danni di Nasser, i Fratelli musulmani furono dichiarati fuori legge e su di essi si abbatté una forte repressione. Nonostante ciò, il movimento in clandestinità continuò per lungo tempo ad esistere e a raccogliere consensi in determinati ambienti della gioventù musulmana.

 

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