Pubblicato su Politica Domani Num 24 - Aprile 2003

Cinema
Il nuovo cinema africano
La scoperta di un continente inesplorato

Giorgio Razzano

Per un occidentale è difficile capire il metodo e il linguaggio cinematografico orientale, ma forse è ancor più difficile apprezzare il cinema africano, una realtà nuova tutta da scoprire. A Milano, a Roma e a Verona, tanto per citare solo l'Italia, ma anche in molti altri Stati del mondo, sta emergendo una realtà nuova che potrebbe avere un avvenire, se solo ci fossero fondi sufficienti per sostenere con produzione e attrezzature adeguate nuove leve e cineasti di valore dell'Africa.
Uno dei primi film di successo fu "African Jim" diretto da Eric Rutherford. La storia, ambientata in una township, ha aperto nel mondo del cinema una nuova strada, basata su un'ambientazione sotterranea fatta di attori black e musicisti jazz destinati in Africa a diventare delle star. In seguito al successo di questo film la situazione del cinema africano è cambiata: sono emerse altre storie da raccontare, storie nuove con le quali è stato finalmente possibile illustrare come vivesse il continente nero.
Fra i temi chiave degli anni '60 c'erano l'apartheid, la vita nel Sud Africa, la violenza, la morte, la religione ma, soprattutto, si cominciarono a capire le tradizioni e la cultura delle varie etnie di cui il popolo africano è composto, un popolo che in Europa è stato sempre tenuto ai margini perché mai è stato compreso, ma che ha una lunga tradizione etnico-religiosa-sociale.
Da quel primo film fino ad oggi, la cinematografia nera si è affermata sempre più: i nuovi giovani cineasti hanno studiato, le varie correnti del cinema europeo e americano è diventato parte della loro cultura personale, così, forti della loro cultura e delle tecniche cinematografiche occidentali, si presentano nei festival e stupiscono pubblico e critica, mostrando storie di povertà e di coraggio, storie di ragazzi che, nascendo poveri e non avendo che poche speranze di poter vivere felici, sognano di potersi impadronire del futuro con tutte le loro forze. Certe scene appaiono crude, sono fatte di un realismo penetrante: rapine, insulti razzisti, vite infernali vissute nei ghetti che fanno riflettere soprattutto chi mai ha pensato che a migliaia di chilometri di distanza si possa vivere una realtà del tutto sconosciuta a noi europei e occidentali.
Un tema particolarmente drammatico è la vita delle donne, un universo difficile da comprendere, fatto di vite senza valore, dove l'essere donna significa soffrire e convivere ad esempio con la realtà dell'Aids (l'infezione miete migliaia di vittime l'anno e non risparmia i bambini ai quali la malattia viene trasmessa direttamente dalla madre). La condizione sociale delle donne è caratterizzata da totale disparità con l'uomo, che sembra essere il padrone assoluto delle loro vite, e la durezza alla quale sono sottoposte per legge (quando è presente): una legge fondata sulla religione e fatta di regole rigidissime e durissime.
Negli anni '70 e '80 la reazione a queste condizioni di miseria è la rabbia, la ribellione a tutto e tutti. Vedere i bianchi vivere in ville e case sontuose e disporre di enormi ricchezze, innesca nei neri la voglia di rivolta; l'incapacità di convivere e di accettare di rimanere in una posizione inferiore, tutto sommato solo per una questione di pelle differente, fa scattare la possibilità di una rivoluzione, pacifica o violenta, tale comunque da cambiare la vita di tutti. Oggi, è la testimonianza di alcuni registi, la volontà di cambiare non fa più appello alla forza; si mettono in campo nuovi originali mezzi, così i giovani fra i venti e i trent'anni hanno deciso di vivere una cultura "vivace" fatta di espressioni artistiche capaci di porre domande e di esporre problemi, e attraverso questi nuovo modo di fare cultura cercano di portare cambiamenti e innovazioni in vari settori della vita africana.
È una voglia di rinascere forte, che fa appello alla solidarietà del mondo intero e che mira a coinvolgere tutti in un nuovo modo di vivere. È un impegno che trova espressione non solo nelle opere della cinematografia ma in generale nelle espressioni culturali in qualsiasi campo allo scopo di evitare il perpetrarsi e il sorgere di focolai di odio che servono solo a creare divisioni.

 

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