Pubblicato su Politica Domani Num 24 - Aprile 2003

Editoriale
Ricostruire dalle macerie

Maria Mezzina

Scene di guerra, caccia all'uomo casa per casa, distruzioni, morti e feriti. Una guerra lampo. A 20 giorni dalla prima bomba i soldati alleati sono entrati a Baghdad per conquistare con la città il paese. "Poche" le perdite alleate in confronto a quelle irachene. Bollettini di guerra recitati in ambienti asettici davanti ai microfoni a grappolo, ovviamente discordanti. Ma dove sono le scene di esultanza della popolazione preventivate dal Pentagono? Portare la democrazia, liberare un popolo oppresso: per questo sono morti o hanno creduto di morire i giovani marines americani e i soldati inglesi. Ma cosa sarà mai questa democrazia che si vuole esportare, qual'è il suo modello? E poi, è possibile esportare la democrazia, o non è piuttosto la democrazia un fatto di cultura? Capire la cultura allora, aprire le porte agli altri, rispettare la storia e la fede degli altri, costruire ponti, intrecciare tessuti di scambi, di amicizie, di relazioni, integrarsi con gli altri (in un processo inverso rispetto a quello avvenuto negli ultimi 20 anni), abbandonare quella cieca fiducia nella superiorità occidentale smentita dalla storia e dai fatti: non è stata la Mesopotamia la culla civile e religiosa dell'umanità, e non è questa guerra la prova lampante del fallimento della cultura occidentale e del ritorno alla legge della clava? Impietosamente dagli stracci logori di una presunta volontà di liberare il mondo dalla minaccia del terrorismo (dove sono le armi di distruzione di massa per cui si è scatenato questo inferno?) e di "portare la democrazia", emergono i veri motivi di questa guerra: la "missione" americana di Stato signore e padrone del mondo; il controllo totale e indiviso delle fonti di energia, ad ogni costo di vite umane e di guasti ambientali; l'affare della ricostruzione con il gigantesco e vorticoso balletto dei miliardi di dollari destinati a sollevare la stagnante economia americana e a riempire le tasche dei soliti pochi. Motivi che hanno ciascuno un volto e un nome: Bush, Rumsfeld, Wolfowitz, Rice, Cheney. E il dopo Saddam? Non è affare dell'Onu, né dell'Europa, né della comunità internazionale - ha detto a muso duro Condoleeza Rice -, probabilmente anche l'Inghilterra avrà un ruolo molto secondario. Non è il seme della democrazia che è stato gettato ma il seme dell'odio. Calpestando l'Onu sono stati minati alla base la cultura occidentale, il diritto dei popoli all'autodeterminazione, quella unità nel rispetto della diversità così faticosamente costruita e culminata nelle Organizzazioni e nel Diritto Internazionali.
In questo mare di macerie, contro le future distruzioni e la minaccia dell'odio, continua a levarsi alta per credenti e non credenti l'unica voce autorevole rimasta, quella del Papa; continuano a sventolare le bandiere della pace, diventate per più di qualcuno segno rivoluzionario di rottura dell'ordine costituito (ma Gesù che predicava la pace e la fratellanza non era anche lui un rivoluzionario?); si moltiplicano le iniziative per la pace e le folle, scese in strada per scongiurare la guerra che implorano ora la pace, stanno riscoprendo il valore dell'impegno e la forza dell'unione e della fratellanza oltre le differenze di cultura, di razza, di religione.
E allora l'Onu, l'Europa, il Papa sono davvero i grandi sconfitti? Per ricostruire il mondo si riparte dalle macerie, quelle dell'egoismo e della cieca presunzione. Il cammino sarà duro, ma le folle variopinte e festanti delle marce della pace, i volti intensi degli uomini e donne di tutto il mondo raccolti in preghiera, le speranze e gli ideali in cui si riconoscono moltitudini di credenti e non credenti, la generosità fino al sacrifico di tanti sono la malta, l'acqua, il cemento, il ferro per una ricostruzione di cuori e di menti ora profondamente lacerati.

 

Homepage

 

   
Num 24 Aprile 2003 | politicadomani.it