Pubblicato su Politica Domani Num 23 - Marzo 2003

Medioriente
Wahhabismo e USA
Arabia Saudita fra tradizionalismo e modernismo

Alberto Foresi

La storia della dinastia saudita, da un secolo al potere in quella vasta porzione della penisola arabica che da essa stessa trae denominazione, si intreccia sin dalle sue origini con il movimento islamico-sunnita tradizionalista wahhabita.
Nella seconda metà del XVIII secolo, Muhammad ben 'Abdi'l-Wahhab (m. 1791) riprese le tesi formulate dal siriano Ibn Taimiya (m. 1328), profondamente ostile ai teologi ash'ariti o mutakallim, considerati quali discepoli di filosofi idolatri (i filosofi Greci dell'età classica), e polemico verso Ebrei, Cristiani e gli stessi Sufi (i mistici islamici); egli trovò il braccio secolare alle sue teorie nell'emiro di Dar'iya Muhammad ben Sa'ud, antenato dei sovrani dell'attuale Arabia Saudita. Le teorie sostenute da Abdi'l-Wahhab si diffusero progressivamente nella regione arabica con l'aumento del potere saudita nell'area, propagandosi anche nell'India musulmana e suscitando paradossalmente simpatie anche in certi ambiti modernisti: l'università teologica indo-wahhabita fondata nel 1857 a Deoband, divenne infatti una delle più importanti scuole teologiche del mondo islamico ed era orientata politicamente su posizioni anti-britanniche.
Dopo la fine del Primo Conflitto Mondiale il Wahhabismo divenne la principale corrente religiosa dell'area arabica. Esso non sconfinò mai nell'eterodossia, sebbene si sia sempre distinto per una più rigorosa interpretazione e successiva applicazione dei precetti coranici: vennero infatti vietate in Arabia Saudita usanze generalmente ammesse nelle altre nazioni islamiche, quali il consumo di caffè e tabacco. I Wahhabiti si caratterizzarono soprattutto per la loro accesa intolleranza religiosa verso le altre correnti islamiche che portò spesso al ricorso alla violenza contro coloro che dissentivano dalle loro teorie; essi giunsero persino alla distruzione a Medina della tomba del profeta Maometto, la cui venerazione era ritenuta blasfema in quanto implicitamente attribuiva valenze divine ad un essere umano, sia pure prescelto da Dio quale suo messaggero, conducendo così la fede su posizioni di sostanziale idolatria. Nonostante la rigidità del Wahhabismo, l'oro proveniente dal petrolio fu più forte della fede e l'Arabia Saudita, agli inizi del '900, fu il primo paese arabo a legarsi quasi incondizionatamente agli Stati Uniti d'America, legame che, pur con qualche incertezza, dura tuttora.
Sin dai suoi inizi, il regno saudita fondato da 'Abd el-'Aziz Ibn Sa'ud (m. 1953) apparve sottoposto alla continua minaccia delle nazioni arabe confinanti. Primario timore era destato dal progetto panarabo di riunificazione in un'unica realtà statuale di tutti i territori disposti quasi a semicerchio tra la Palestina e la foce del Tigri e dell'Eufrate - la cosiddetta "Mezzaluna fertile". In particolare, fra le nazioni potenzialmente interessate a tale progetto vi erano Iraq e Giordania. La loro ostilità verso la dinastia saudita traeva origine da motivazioni dinastiche: le famiglie ivi regnanti appartenevano entrambe alla famiglia hashimita estromessa da 'Abd el-'Aziz Ibn Sa'ud dalla prestigiosa (e remunerativa) carica di custode dei luoghi santi della Mecca. Iraq e Kuweit, colpevoli di vere o presunte deviazioni dall'Islam delle origini, erano inoltre periodicamente sottoposti alle spedizioni punitive delle milizie wahhabite, create da 'Abd el-'Aziz Ibn Sa'ud sia per garantirsi il controllo di regioni periferiche abitate da nomadi di dubbia fedeltà, sia per favorire lo sviluppo agricolo, incoraggiando la trasformazione dei pastori nomadi in contadini sedentari. Timori erano infine nutriti nei confronti di Siria e Libano in quanto era possibile che questi due paesi, sottoposti a mandato francese, si unissero a quelli soggetti all'influenza britannica - Iraq e Kuweit - stringendo così in una morsa il regno saudita. La prima nazione con cui l'Arabia Saudita trovò intesa fu l'Egitto, estraneo alla "Mezzaluna fertile", e l'alleanza con la dinastia regnante egiziana costituì un cardine della politica estera saudita fino all'avvento del nazionalismo di Giamal 'Abd en-Naser (1954). Al di là delle alleanze nel mondo arabo, apparve comunque indispensabile per 'Abd el-'Aziz Ibn Sa'ud trovare appoggi in grado di sostenerlo di fronte all'espansionismo britannico. È in questa ricerca che si concretizzò l'inizio dell'alleanza tra Arabia Saudita e Usa. Scelta obbligata per i Sauditi al termine di un processo di esclusione degli altri possibili referenti: Francia ed Italia, in quanto entrambe impegnate in pesanti azioni di conquista coloniale; l'Unione Sovietica, in quanto paese ufficialmente ateo. In tale situazione gli Stati Uniti erano infatti avvantaggiati dal fatto di non aver mostrato interesse ad una espansione aggressiva, distinguendosi anzi in una politica mirante all'apertura di scuole rette da religiosi nelle quali si diffondevano teorie liberali e democratiche. Inoltre il presidente Wilson, in occasione della missione King-Crane, che si batteva per impedire l'imposizione dei mandati al termine della Prima Guerra Mondiale, rilasciò dichiarazioni a favore del principio di autodeterminazione dei popoli, suscitando in tal modo il favore delle popolazioni costantemente minacciate dalle ingerenze europee. I buoni rapporti tra Arabia Saudita e Usa erano infine favoriti dal legame istauratosi tra le popolazioni locali e le comunità protestanti statunitensi che, provenienti dall'arcipelago del Bahrein, avevano esteso la propria azione anche in Arabia distinguendosi in concreti aiuti medici e umanitari, comportandosi ben differentemente dall'arroganza che aveva contraddistinto la presenza britannica. Grazie a quest'immagine, fu facile per le compagnie petrolifere statunitensi ottenere le concessioni per lo sfruttamento del sottosuolo, favorite anche dal fatto che, dopo la crisi mondiale del 1929, erano fortemente diminuiti i profitti derivanti dal pellegrinaggio ai luoghi santi dell'Islam. Il primo accordo fu stipulato nel 1933 con la Socal (Standard Oil Company of California) e, sebbene la cifra corrisposta fosse sostanzialmente irrisoria di fronte al valore delle concessioni, nondimeno consentì al regno saudita di risolvere i propri problemi economici. È interessante notare come questa prima fase dell'alleanza saudita-statunitense non sia stata sancita da un effettivo riconoscimento politico (lo scambio delle rispettive delegazioni diplomatiche si realizzerà solo nel 1940), ma da contatti privati, facilitati dall'usanza delle compagnie americane di assumere i propri dirigenti fra membri in congedo dell'apparato statale e dal corpo diplomatico statunitense. Nelle relazioni fra le due nazioni, una tappa fondamentale è costituita dalla dichiarazione congiunta di Riyad (1943), in cui si affermava che "la difesa dell'Arabia Saudita è vitale per la difesa degli Stati Uniti d'America". Da questo momento fu giustificato di fronte all'opinione pubblica un intervento crescente sotto forma di capitali, esperti e consiglieri militari. Entrambe le parti avevano ottenuto il proprio scopo: gli Usa di disporre di enormi risorse petrolifere e di basi militari dalle quali estendere la propria autorità nella regione; l'Arabia di essere protetta dall'ingerenza britannica e, successivamente, dalla minaccia sovietica. Negli anni successivi al termine della seconda guerra mondiale, il mantenimento dell'alleanza con gli Usa condizionò pesantemente la politica estera saudita, e ciò soprattutto nei conflitti che periodicamente contrapposero Arabi ed Israeliani. Nel 1948 l'Arabia Saudita inviò a combattere contro i Sionisti un contingente pressoché simbolico; nel conflitto arabo-israeliano del 1956 ruppe le relazioni diplomatiche con Francia e Gran Bretagna ma non con gli Usa, che, formalmente neutrali, erano comunque schierati su posizioni filo-israeliane. Anche nel 1967 l'appoggio militare alla Giordania contro Israele fu puramente simbolico. E questa politica non traeva origine da una reale simpatia verso Israele quanto dal timore dell'espansione dell'influenza sovietica nella regione e del possibile avvento di regimi ufficialmente atei.
Anche oggi l'alleanza con l'Arabia Saudita si rivela indispensabile per gli Usa, sia in una prospettiva di controllo territoriale a lungo termine, sia, nell'immediato, nel caso di un conflitto contro l'Iraq. Si registrano, tuttavia, delle impreviste incrinature da parte saudita in questa alleanza, motivo che potrebbe anche essere alla base della volontà statunitense di imporre in Iraq un governo a loro favorevole. Le incrinature sono dovute sia all'insofferenza mostrata dai Sauditi verso la massiccia presenza militare americana nella regione ove sono situati i luoghi sacri dell'Islam, sia ad una certa riluttanza a sostenere apertamente un attacco contro altri Musulmani senza motivazioni concrete, sia, infine, agli ambigui rapporti intercorsi tra la dinastia saudita, e non l'Iraq, e Bin Laden dopo la fine dell'occupazione sovietica dell'Afghanistan.

 

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