Pubblicato su Politica Domani Num 23 - Marzo 2003

Calcio in crisi
Il pallone rischia di diventare quadrato
… e di non rotolare più

Alessio Fatale

Crisi è il termine che meglio descrive lo stato attuale del mondo-calcio, soprattutto italiano.
Già l'assenza di "colpi di mercato" estivi aveva fatto pensare ad uno stato di crisi: i vari "colpi", Nesta, Crespo, Ronaldo, Rivaldo, avevano illuso che il problema si fosse allontanato, ma il ritardo del campionato, la crisi Lazio, gli stipendi non pagati e, non dimentichiamo, il fallimento della Fiorentina ci hanno riportato con i piedi per terra.
In questo momento le società i cui bilanci sono in attivo si possono contare sulle dita di una mano, fra queste Juventus e Bologna; altre come Inter e Milan anche se in forte passivo vanno avanti grazie ai continui finanziamenti dei loro facoltosi presidenti; altre ancora, come la Lazio, chiedono lo stato di crisi e cercano nuovi acquirenti.
Ma come mai si è arrivato a tanto? Ultimamente sono stati messi sotto accusa gli stipendi spropositati dei giocatori, ma non c'è solo quello nella crisi del calcio. Purtroppo negli ultimi anni il calcio è diventato un affare, non è più uno sport sano. La troppa voglia di accaparrarsi trofei che portano sponsor e soldi, hanno snaturato il gioco. I presidenti delle società fanno follie non ripagate dai risultati. La concorrenza è agguerrita e manca una politica efficace della Figc in campo internazionale (vedi il caso dell'arbitro Moreno nella partita Italia-Sud Corea degli ultimi mondiali di calcio), dovuta anche al commissariamento della Federazione; la nomina di Galliani a nuovo Presidente della Figc non sembra aver risolto il problema, anzi lo ha forse aggravato perché la duplice veste di Galliani Presidente della Lega e vice-presidente del Milan ha permesso che si scatenassero polemiche che non fanno bene allo sport. Alla ricerca di giovani talenti nei vivai italiani si è sostituita una ricerca frenetica di giocatori - che neanche brillano particolarmente - in campionati stranieri semisconosciuti. In questo clima di caos le società italiane si sono sempre più indebitate a differenza di quelle straniere che con una politica economica attenta e parsimoniosa hanno raggiunto sia economicamente (il Manchester United), sia sportivamente (il Real Madrid) i vertici del mondo calcistico.
Ora sembra che le società italiane, anche per mancanza di fondi, abbiano deciso di rinunciare alle enormi e inutili spese degli osservatori internazionali per concentrarsi sui vivai e favorirne lo sviluppo. Questa nuova politica, almeno fino ad ora, sembra dare i primi frutti: stanno emergendo giocatori giovani che finalmente si affermano nelle prime squadre, come Pasquale nell'Inter, Brighi nel Parma, Maresca nel Piacenza e Miccoli nel Perugia.
Il governo sta cercando di trovare una soluzione al problema dell'indebitamento delle società di calcio professionistiche: un decreto legge, noto come "decreto salva-calcio", che è stato approvato dai due rami del Parlamento, porterebbe sgravi fiscali alle società di calcio; inoltre il provvedimento darebbe alle società sportive, in particolare quelle in crisi, la possibilità di immettere nel passivo di società la differenza fra le somme versate e il valore attuale di quei calciatori che nell'ultimo anno avessero perso il loro valore iniziale di mercato. In pratica: una società che avesse pagato un campione 50 milioni di euro, se a giugno non riuscisse a venderlo a più di 30 (una situazione simile a quella capitata alla Lazio per Crespo), può mettere l'ammontare della svalutazione a bilancio, presentare una perizia giurata e pagare in dieci anni il debito contratto per la compravendita.
Il decreto ha suscitato non poche perplessità nel Commissario Europeo per la Concorrenza, Mario Monti, il quale in un suo intervento ha detto che il decreto salva calcio che "potrebbe configurarsi come un aiuto di Stato … Se uno Stato membro introduce un decreto salva-calcio, come è stato chiamato, - ha osservato Monti - non ci si può non interrogare se le misure previste nel decreto non possano configurarsi come aiuti di Stato suscettibili di distorcere la concorrenza sul piano europeo". Victor Uckmar, ex capo della Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio), ritiene che il decreto salva-calcio sia un'operazione di facciata, che sporca la faccia senza risolvere nulla, qualcosa inventata perché qualche amico si salvi dal fallimento.

 

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Num 23 Marzo 2003 | politicadomani.it