Pubblicato su Politica Domani Num 23 - Marzo 2003

Tra Medioevo ed Umanesimo
Fine del dominio bizantino
Dal declino, la diaspora e la rinascita degli studi greci

Alberto Foresi

Con l'espugnazione di Bari del 1071 ad opera dei Normanni (uomini del nord) capeggiati da Roberto il Guiscardo (lo scaltro), si conclude il dominio bizantino in Italia. L'Impero d'Oriente cercò di preservare comunque la propria influenza sull'Italia meridionale. Il Normanno fu fatto oggetto delle lusinghe della diplomazia greca in vista di un trattato di pace e d'alleanza; è per questo che Michele Psello, erudito potente e ambizioso alla corte di Bisanzio, descrive il Guiscardo come un uomo valoroso, nobile e di sentimenti pacifici, pur essendo risapute a Costantinopoli la sua violenza, la sua avidità e la sua spregiudicatezza. Nel 1074 venne stipulata l'alleanza fra Michele VII Ducas, imperatore bizantino, con il Guiscardo. Lo scopo era di contenere nella penisola l'espansione normanna e di scongiurare un'invasione da parte dei musulmani selgiuchidi, ma soprattutto di mascherare le perdite territoriali imponendo al Guiscardo una nominale supremazia imperiale. Roberto, insignito dell'altissima dignità di nobelissimos, entra così a far parte della gerarchia aulica bizantina. A suggello di tale alleanza fu inoltre deciso il matrimonio tra una figlia del Guiscardo, Olimpiade, e Costantino, figlio del basileus. Il titolo conferito tornò utile al Guiscardo per affermare la sua preminenza sugli altri conti normanni e nei suoi rapporti con i sudditi italo-greci e longobardi; l'alleanza e la parentela con Michele VII furono il pretesto per attaccare Bisanzio e uscire dai confini che era tenuto a non varcare. Nel 1078 Michele VII venne deposto da Niceforo III Botoniata, il quale, pur sposandone la moglie, non riconobbe al figlio Costantino i diritti imperiali. Con il pretesto di reintegrare il deposto Michele e soprattutto l'erede Costantino, sposo promesso della figlia, il Normanno inizia la campagna balcanica. Nel 1085, nell'assedio di Cefalonia il Guiscardo muore improvvisamente, lasciando al nipote Ruggero II, padre di Costanza e nonno di Federico II, il compito di unificare l'Italia meridionale nel Regnum Siciliae.
Sotto il regno di Federico II (1194-1250) le relazioni diplomatiche con gli imperatori bizantini furono buone; gli imperatori erano in esilio a Nicea a causa della caduta di Costantinopoli in mano latina in seguito alla IV crociata nel 1204. Con l'ascesa al trono di Giovanni III Vatatzes le relazioni si infittirono e si tradussero in alleanza, suggellata nel 1244 con le nozze del sovrano con Costanza, figlia di Federico e di Bianca Lancia e quindi sorella di Manfredi. L'imperatore svevo contraeva così una parentela con la dinastia regnante greca realizzando l'idea del suo lontano antenato normanno. Federico II progettava di attaccare il regno pontificio, ponendosi a capo di forze ghibelline e di potenze greche ortodosse (come risulta da alcune lettere inviate intorno al 1250 al genero e al despota d'Epiro Michele II), da lui ritenute alleate naturali. La politica pontificia mirava infatti alla comunione tra la chiesa latina e quella greco ortodossa ma tacciava di eresia ogni differenza dottrinale e liturgica dalla Chiesa latina. Il progetto però non fu mai attuato a causa della morte di Federico, il 13 dicembre 1250, e del genero Giovanni III, nel 1254. L'alleanza fra i Normanni e la corte di Bisanzio si dissolse: il casato di Svevia era finito e gli Angioini che succedettero erano filopontifici: Michele VIII Paleologo, il basileus che riconquistò Bisanzio all'Impero (1261), cercò di guadagnare il favore del papato sottomettendole la chiesa bizantina in cambio del sostegno politico e militare contro i Turchi. L'unione delle due Chiese, sancita nel concilio di Lione del 1274, fallì e lo stesso Michele ben presto concorse a sottrarre la Sicilia al dominio angioino ed all'influenza papale, favorendo i Siciliani nella riconquista della libertà (Vespri Siciliani del 1278).
Mentre si assisteva al lento declino dell'Impero d'Oriente, rimase immutato il suo prestigio culturale, favorito anzi dalla diaspora di taluni personaggi, spinti verso l'Italia dalla progressiva invasione ottomana. È fondamentale, infatti, il ruolo ricoperto da alcuni letterati greci ed italo-greci nella cultura italiana del '300 e nell'Umanesimo, al fine della riscoperta della tradizione greca classica dopo il sostanziale oblio che caratterizzò il Medioevo occidentale sino ai tempi di Petrarca e Boccaccio. Il desiderio dei due autori di apprendere il greco scaturiva allora dai frequenti contatti con i diplomatici bizantini e con personaggi provenienti da Sicilia e Calabria, regioni ancora in buona parte ellenofone. A due di loro, Barlaam il Calabro e il suo allievo Leonzio Pilato, si rivolsero Petrarca e Boccaccio, desiderosi di leggere i manoscritti greci in loro possesso. Il primo non riuscì ad imparare la lingua, mentre il secondo ebbe maggior successo. Al Boccaccio si deve inoltre l'istituzione nel 1361 a Firenze della prima cattedra di Greco nelle università occidentali, assegnata a Leonzio Pilato. Nel 400 emerge infine la figura di Bessarione, arcivescovo di Nicea e, dopo il Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39), ove si distinse per il sostegno all'unione delle due Chiese, cardinale della Chiesa Romana. Egli concorse alla fondazione della Biblioteca Marciana di Venezia, alla quale donò, ancor prima di morire, la sua rilevante collezione di testi greci. E proprio a Venezia, questa città sospesa tra Oriente ed Occidente, Bessarione fu sempre particolarmente legato, nonostante risiedesse prevalentemente a Roma. Dopo la definitiva caduta della sua Costantinopoli, la città lagunare apparve sempre più ai suoi occhi quasi come una seconda patria.

 

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