Pubblicato su Politica Domani Num 22 - Febbraio 2003

Governare il mondo
Un difficile cammino
Crisi delle istituzioni e degli ordinamenti sovranazionali

Giovanni Battista Montironi

Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: "Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo". Gesù gli rispose: "Solo al Signore Dio ti prostrerai, lui solo adorerai". (Luca 4, 5-8)

Davos - Porto Alegre - Irak - la guerra infinita ...
In questi mesi stiamo assistendo al consolidamento di un ritorno: il ritorno della autonomia dello stato nazionale da ogni impegno sovranazionale. Il ritorno alla politica "estera" come gioco di forza "inter-nazionale". Ognuno per sé: ritorna lo Stato arbitro del bene e del male. Responsabile (si fa per dire) di ciò che ritiene bene o male per sé (e automaticamente per i suoi cittadini): il male che lo Stato infligge al "nemico" con le armi, per tutelare propri "interessi", non lo impegna minimamente, né sul piano morale né su quello delle relazioni politiche mondiali. L'ideatore del tragico attacco alle Twin Towers, se intendeva scompaginare i piani e le dialettiche del mondo industrializzato (per lo più di modello occidentale) per la costruzione di un ordine sovranazionale, non poteva colpire in modo più giusto.
Le Nazioni Unite vengono relegate ad un ruolo subordinato; la costruzione armonica dell'Europa subisce un arresto grave; la Chiesa, che afferma l'universale inutilità ed immoralità della guerra, è praticamente inascoltata; perfino il processo di mondializzazione subisce uno stop. Gli organi di informazione, pieni dei venti di guerra, ed i capi del mondo, presi nell'intreccio da loro stessi generato, snobbano i problemi della globalizzazione; non solo nei riguardi del Social Forum di Porto Alegre, ma pure verso l'"Annual meeting" del Forum di Davos, che vede riuniti i soggetti dell'economia mondiale. A chi fa rilevare ai vertici politici la stragrande maggioranza di sentimenti contrari alla guerra (fino a mettere in forse le future posizioni elettorali degli stessi governi interessati), si risponde: "non ci interessano i sondaggi di opinione, noi sappiamo quale è il bene da perseguire". Giuliano Ferrara dice: non è l'ora di prendere posizione pro o contro questa guerra. Ormai si sa che si farà. A noi non resta che decidere se ci conviene entrarci o restarne fuori. Fatto nuovo nella storia mondiale: sembra che (pur nella loro grezza sensibilità agli eventi umani) le borse reagiscano negativamente: a che gioco giochiamo, non avevamo detto che non c'erano più confini? Tutti sappiamo che, proprio nel mondo di oggi, così interconnesso in modo sistemico e complesso, è praticamente inutile una guerra: nessuna delle guerre combattute dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, ha perseguito risultati configurabili come "vittoria".
Il Cardinale Sodano, [in un colloquio riportato da la Repubblica di giovedì 30 gennaio u.s.] ribadisce la contrarietà di principio della Chiesa ad una guerra, specialmente se definita "preventiva"; ma poi fa rilevare il terribile rischio pratico delle ricadute e delle ripercussioni non controllabili a livello mondiale: "Io l'ho detto a un vecchio amico americano: la lezione del Vietnam non vi ha insegnato niente?"; e più avanti: "Nemmeno in Afghanistan le cose vanno così bene. Per questo bisogna insistere sulla domanda se conviene fare la guerra".
L'unico risvolto vero di tutto questo sono i morti.
Morti e stritolati di guerre più inutili del passato: chi può pensare di vincere la lotta al terrorismo bombardando la gente da 7000 metri? Morti di "guerra civile", si potrebbe dire in una visione realistica non utopica: morti tra coloro che nel sistema planetario sono "concittadini del mondo"; morti innocenti, come "effetti collaterali"; morti di terrorismo ecc. Una catena infinita: una Palestina estesa a gran parte del mondo; un'agonia dell'umano e della sua storia ...

 

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Num 22 Febbraio 2003 | politicadomani.it