Pubblicato su Politica Domani Num 22 - Febbraio 2003

SFSP - Un'opinione critica
Un oppositore della globalizzazione
Il Prof. Paolo Palazzi interviene al dibattito

M.M.

Il vecchio rapporto di sfruttamento dei PVS (Paesi in Via di Sviluppo) con l'occidente avanzato ha lasciato tracce sulle strade che li percorrono: vanno tutte dall'interno verso il mare. Questo è vero soprattutto per le ex colonie dell'Africa che, nonostante l'indipendenza, resa peraltro inutile dai continui conflitti, continua a mantenere con l'Europa e gli USA un rapporto legato esclusivamente allo sfruttamento delle risorse. Questi paesi - dice il Prof. Palazzi - sono stati solo marginalmente toccati dalla globalizzazione, un fenomeno moderno (se ne parla da non più di 15 anni) che implica un nuovo rapporto fra occidente e PVS, contrapposto al vecchio rapporto di sfruttamento.
Dal punto di vista economico (non l'unico e neanche il più importante, ma quello di competenza del nostro ospite), la novità consiste nella capacità di spostare la produzione (le fabbriche) nei paesi dove i processi produttivi sono più remunerativi perché i salari sono più bassi, perché le "regole" di impianto e di smantellamento delle fabbriche (come quelle a protezione dell'ambiente) sono minori o facilmente aggirabili, perché non ci sono o sono vietati (Cina) i sindacati, e i salari possono rimanere bassi, perché non ci sono spese di previdenza, né spese legate alla sicurezza sul lavoro.
I PVS diventano fra loro concorrenti al ribasso, cercando di attirare gli investimenti, premuti in questo anche da BM, FMI e BCE. I paesi che vincono la "gara" (paesi del sud-est asiatico e alcune piccole zone della Cina) sono anche quelli che più si sviluppano; uno sviluppo dipendente e subordinato, ma comunque sviluppo.
Il trasferimento delle produzioni comporta anche il trasferimento di modelli di vita, di cultura e di valori che hanno impatto sui comportamenti, sulle relazioni sociali e sulle relazioni internazionali.
Importanti sono le conseguenze anche nei paesi industrializzati da cui provengono le produzioni: essi vivono il processo in modo conflittuale. Lo spostamento di produzione significa infatti spostamento di ricchezza, chiusura di fabbriche, perdita di lavoro, lavori meno qualificati e più incertezza.
Non ci sono facili risposte per i paesi sviluppati. Cercare di competere sul piano del costo del lavoro è illusorio: come potrebbe un nostro operaio competere con uno della Birmania il cui salario è un centesimo del suo? Pensare di "pulire la produzione" con lavori più qualificati, tecnologie più complesse e lavorazioni meno pericolose è un'altra illusione: ai pochi posti di super-esperti si contrappongono i tanti lavori nella ristorazione, nel turismo, nei call center; tutti lavori di bassa qualifica, part time, con nessuna prospettiva e grande instabilità.
Alla crisi del lavoro che scompare nei paesi sviluppati si affiancano le gravissime crisi che si verificano nei PVS, quando le fabbriche chiudono e se ne vanno: le immense megalopoli di baracche accanto ai lussuosi edifici di città come Città del Messico, La Paz o Manila - conseguenza del fenomeno della urbanizzazione causato dall'insediamento delle fabbriche - non scompaiono con la chiusura delle fabbriche. I milioni di poveri che, abbandonata la campagna, erano venuti a vivere ai margini della città, rimangono nei loro insediamenti e il loro modo di vivere in questi alveari di catapecchie è il frutto e il segno della modernità.

 

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Num 22 Febbraio 2003 | politicadomani.it