Pubblicato su Politica Domani Num 22 - Febbraio 2003

Tradizioni popolari
Lì e allora
Carnevali sanniti di cinquanta anni fa

Ciro Gravier Oliviero

Nella cassa c'era la farina di lino per i cataplasmi e sacchetti di semola per la polenta, e poi il miglio per il migliaccio di Carnevale. Quel giorno, si intronizzava su una vecchia poltrona un magnifico pupazzo di "Vicienzo", riempito di stoppa e di segatura. Gli si ficcava in bocca un'enorme pipa con il fornello fatto con la "pipparella" più grande di melograno raccolta l'anno prima, gli si legava al collo un bavaglione di cravatta a farfalla. Su un tavolino, gli si piazzava davanti una zuppiera di polpette di zoza. Ogni tanto, noi bambini andavamo a sfotterlo e a domandargli se gli piacevano i lupini. Perchè, il giorno della sua festa, da mangiare aveva solo i lupini. Mentre li mangiava, gettava le scorze, lamentandosi di quanto era disgraziato. All'improvviso si gira e vede uno, assai più disgraziato di lui, che lo seguiva passo passo per raccogliere le scorze e mangiarle.
Dopo l'abbuffata di mezzogiorno (la lasagna, il polpettone e le polpette vere, di carne), andavamo al Trivio, dove il vicolo Carbone sfociava sulla Concezione, la lunga strada che se ne andava pigramente dalla Croce (la Piazza) al confine della parrocchia, dove dava il cambio alla via incassata di terra battuta che saliva fino a Talanico. Aspettavamo la processione dei Mesi e la "parlata" che facevano sulla piazzetta.
Eccoli che arrivano, dodici di loro con Matusalemme tredicesimo in testa, vestito con un gran tabarro, una lunga barba bianca, un pastorale in mano come una piròccola di capraio, a cavalcioni su un mulo, e tutti gli altri a cavallo. Si ferma nel silenzio improvviso …
E i' so' Marcusalemme! - Vengo da Monte Vesuvio…- Ho dormito novecento anni! - Mi hanno sembrato novecento minuti secondi! …
Ed ecco "Innàro", contadino vestito a festa, con un ronciglio in mano:
Io songo Innàro, e so' primm'entratura! - Ma che vonno a me sti villane ruzze cafone? …
Finisce il suo mottetto, e riparte. Si presenta "Frevàle", piccolo pastorello, con un misero mazzetto in mano.
Ie so' Frevàle, curto e peggio e tutte! - Che guerra pozzo fa'cu vintotto juorne?- Ma si m'acàle nterra e piglio na frusta - Te faccio girà sempe attorno attorno! …
Ed ecco Marzo, una camicia a fiori, un ombrello in ciascuna mano. Io e Vittorio stavamo ancora più attenti, perché era il nostro mese.
E io so' Marzo: turze, mazze e ccap'e mazze! - Ognuno e vuie dice ca io so' pazzo…- Ma sempe capa e primavera so' chiamato! … - Io ci ho due ombrelli: - uno per il giorno triste, e uno per il giorno bello. - Quello del giorno triste lo tengo per me, - e quello del giorno bello lo regalo - … a mia sorella Aprile che è la più bella - e il mese più gentile!
Sua sorella "Abbrile", con l'abito da sposa, su una cavalla bianca e una gualdrappa rossa. Ooohhh!
Io sono Abbrile, dolce dormire, - gli uccelli a cantare e gli alberi a fiorire! …
La processione continua, con gli altri Mesi in ordine, uno dopo l'altro. I bambini non fanno più attenzione ai mottetti, solo incuriositi dagli abbigliamenti. Chi è quello tutto sbracato? Lo voglio anch'io un cappello a tubo! Zitto, Angioletto: è Novembre, il mese tuo! Novembre si fa avanti: un ragazzone con un modello di aratro in mano, un grembiulone di seminatore addosso:
I' so' Nuvembre e cu stu mio surcaturo - Vaco cerchenno na fèmmena bella - Ca me porta annanza sta jummentella…
Dicembre se ne andava galoppando, dopo aver salutato l'assemblea:
Arrivederci all'anno che vvene - E si o verimmo e si campammo, - arrivederci a tutte quante!
Gli uomini si grattavano, unico esorcismo veramente efficace.
Potevamo tornare a casa. Era l'ora della merenda: il migliaccio, finalmente! Oh la bella torta compatta, lucida, raffreddata, zuccherata e profumata di vainiglia, con tanti pezzetti di agrumi canditi qua e là! Ma perché Carnevale viene una sola volta all'anno?
Si fa sera in un battibaleno. Improvvisamente, si sentono strilli altissimi: ma piangono, o ridono? Sembrano gatti in amore, che sembrano bambini disperati. Cominciava la veglia funebre di Carnevale, spirato con il tramonto, e ora era lì, steso lungo lungo su un catafalco, in mezzo al Trivio. A poco a poco tutto il vico Carbone si radunava attorno: i cafoni, scuri e rugosi, che quel giorno non erano andati in campagna; i carbonari, affumicati, lo stesso, e infatti nessun fumacchio s'era visto sui fianchi di San Michele; lo storpiato, che per una volta aveva tutte le ragioni di strascinarsi col culo per terra; la madre del muto, lunga e ossuta; il vecchio Trutrù che ride a crepapelle col suo molare solitario in mezzo alla bocca, e comare 'Ntuniella che si mantiene le costole; tutti i Còzzica, la cui vacca aveva figliato; Gilù l'imbriaco col naso rosso su una faccia piatta e soddisfatta; Maria la puttana, tosta tosta, e ancora appetibile; gli sportari che continuavano macchinalmente a muovere i diti come se stessero sempre intrecciando panieri … muòrtus muòrtibus inculòooorum… A teeeeh!
A casa, acchiappavamo rabbiosamente il fantoccio di Carnevale e andavamo a buttarlo nella cortinella, dove restava ancora qualche giorno, smembrato e miserando.
Il giorno dopo, di buon'ora, la nonna ci portava in chiesa dove il parroco ci metteva sulla testa un pizzico di polvere borbottando parole latine. Che ha detto, nonna? Ha detto: Tu sei polvere e polvere ritornerai.
Si installava il grigiore interminabile della quaresima.

 

Homepage

 

   
Num 22 Febbraio 2003 | politicadomani.it