Pubblicato su Politica Domani Num 22 - Febbraio 2003

USA e petrolio arabo
Gli inizi degli interessi USA nel Golfo Persico
Stati Uniti ed Europa in medioriente: una difficile convivenza

Alberto Foresi

Ogni giorno più forte si ode il suono di minacciosi tamburi di guerra e non è improbabile che, quando questo numero sarà distribuito, il conflitto tra USA e Iraq sia già scoppiato. Un conflitto questa volta definito preventivo, finalizzato a prevenire mali futuri, giacché, nell'età del politically correct, bisogna sempre trovare una motivazione morale ad ogni guerra. È tuttavia palese che, sebbene non esclusivamente, altre motivazioni siano alla base di tale possibile conflitto, e cioè la volontà statunitense di rafforzare la propria egemonia politica e militare nel Golfo Persico al fine di poter controllare direttamente i giacimenti petroliferi irakeni. Ambizione questa non nuova, in quanto risalente ai primi decenni del secolo da poco trascorso allorché, nel 1908, fu scoperto in Iran il primo giacimento petrolifero, scoperta che giustamente indusse a ritenere che anche nelle regioni limitrofe fosse presente petrolio in grande quantità.

Già nel XIX secolo gli Stati Uniti cominciarono ad interessarsi del Mediterraneo arabo
In realtà già nel XIX secolo gli Stati Uniti cominciarono ad interessarsi direttamente del Mediterraneo arabo: ricordiamo l'attacco dei marines al porto di Tripoli (1805), base delle flotte corsare che sottoponevano a continuo rischio i traffici commerciali marittimi, traffici a cui gli Americani erano sempre più interessati. Ancor più importante fu la fondazione nel 1866 a Beirut di un collegio protestante, divenuto poi l'American University of Beirut, e ciò non tanto per l'attività di proselitismo cristiano quanto, soprattutto, per il suo ruolo culturale svolto all'interno della società locale: è nelle sue aule che si formarono i moderni quadri dirigenti del mondo arabo e si svilupparono le teorie del nuovo nazionalismo arabo, non più fondato esclusivamente sull'identità religiosa ma piuttosto sull'identità etnica; lo stesso nazionalismo che, nella seconda metà del XX secolo, costituì spesso una concreta minaccia per gli interessi statunitensi, basti pensare a Nasser in Egitto, a Gheddafi in Libia e, in ultimo, a Saddam Hussein in Iraq. Questa attività culturale consentì comunque agli Stati Uniti di presentarsi agli occhi delle popolazioni arabe in modo diverso rispetto alle potenze coloniali europee, Francia, Germania e Gran Bretagna: essi non apparivano come dei nuovi oppressori e sfruttatori ma quali portatori di idee di rinnovamento e di progresso. L'interesse statunitense verso le regioni del Golfo crebbe ovviamente dopo le scoperte petrolifere nella regione e ciò poiché i costi di estrazione erano di gran lunga inferiori rispetto ai giacimenti del Texas o di Venezuela e Messico che, di fatto, controllavano, e la produttività dei pozzi iraniani ed irakeni era di gran lunga superiore rispetto a quella di un pozzo americano medio. Negli ultimi anni di vita dell'Impero ottomano, comprendente al suo interno Siria, Libano, Iraq e, almeno formalmente, l'Arabia Saudita, e in quelli immediatamente successivi al suo disfacimento, il controllo delle risorse petrolifere delle regioni poste lungo le sponde del Golfo Persico, di cui solo allora si valutava appieno la produttività, era saldamente in mano a società tedesche, inglesi e francesi, le quali, nonostante la reciproca ostilità, opponevano un fronte comune ad ogni ulteriore intromissione in tale area geografica.

USA-Europa e lo sfruttamento delle regioni petrolifere: un rapporto difficile.
Verso il 1910, dopo la scoperta di ricchi giacimenti in Iran, nazione posta sotto l'influenza britannica, venne costituita la Anglo-Persian Oil Company, trasformata successivamente in British Petroleum (BP). Per evitare l'intromissione dei petrolieri americani nell'Impero ottomano venne costituita una compagnia, la Turkish Petroleum Company (TPC), formata con capitale tedesco, britannico ed olandese. Al termine della Prima Guerra Mondiale la quota tedesca di tale società passò ai Francesi come preda di guerra, mentre agli Stati Uniti, nonostante la loro partecipazione al conflitto, non vennero riconosciuti diritti al riguardo. Soltanto nel 1928 fu accettato dai petrolieri europei il principio della "porta aperta" - il diritto cioè di partecipare al commercio ed agli investimenti nei territori soggetti all'influenza europea - che da lungo tempo era rivendicato dal governo americano. I capitali statunitensi entrarono nella TPC, divenuta allora IPC (Iraq Petroleum Company). Fu contestualmente sottoscritto il cosiddetto accordo "della linea rossa", in base al quale i vari soci dell'IPC si impegnavano a non farsi concorrenza reciproca nei territori già facenti parte dell'Impero ottomano. In pratica, tale accordo prescriveva che, all'interno di un vasto territorio, delimitato sulla carta da una linea rossa, le varie compagnie sottoscriventi l'accordo si impegnassero a cercare e sfruttare il greggio solo con il reciproco consenso. Venivano in tal modo danneggiati gli interessi americani in quanto costoro, a differenza di Inglesi e Francesi, che erano già in possesso di redditizi pozzi petroliferi, erano propensi a impegnare cospicue risorse economiche nella ricerca di nuovi giacimenti.

USA-Arabia Saudita: alla conquista del petrolio mediorientale
Al fine di aggirare tali ostacoli, nello sfruttamento dei nuovi giacimenti scoperti dal neozelandese Holmes al largo del Bahrein, subentrò alla Gulf la SOCAL (Standard Oil Company of California, società appartenente alla Standard Oil di Rockfeller), che, a differenza della Gulf, non essendo azionista della IPC, non era vincolata agli accordi precedentemente sottoscritti. Arricchitasi grazie all'abbondante greggio del Bahrein, la SOCAL ottenne nel 1933 la concessione dall'Arabia Saudita di poter effettuare ricerche in gran parte del suo territorio. Iniziava allora il legame tra Stati Uniti e la monarchia saudita. Legame prescelto da quest'ultima al fine di contrastare la presenza inglese e francese nella regione e, contestualmente, rintuzzare l'ostilità nutrita nei suoi confronti da Iraq e Transgiordania. Dopo la scoperta in Arabia Saudita di cospicui giacimenti, a partire dal 1938 si registrò un rilevante incremento degli investimenti americani in Arabia Saudita e, nel 1944, estesero i loro interessi nella regione anche compagnie che facevano parte dell'IPC, omettendo di chiedere, grazie al mutato equilibrio che si registrava allora in conseguenza del massiccio intervento statunitense nel conflitto mondiale, la preventiva autorizzazione ai soci europei. Nasceva così l'ARAMCO (Arabian-American Oil Company), che di fatto gestì l'economia saudita come se il regno fosse una sua filiale commerciale. Nel 1946 fu definitivamente cassato l'accordo della "linea rossa". A questo punto il primato degli Stati Uniti era pressoché incontrastato in quanto le compagnie petrolifere americane controllavano il 42 per cento delle riserve petrolifere della regione. In mano britannica rimaneva il controllo della produzione iraniana, ma anche in Persia, approfittando della nazionalizzazione imposta nel 1951 dal primo ministro Mossadeq, gli US riuscirono presto a sostituirsi agli Inglesi.

Dopo la seconda guerra mondiale: la spartizione USA-URSS
Il ruolo preminente degli Stati Uniti nel Medio Oriente, e, in particolare, in Arabia Saudita, fu pertanto confermato al termine del Seconda Guerra Mondiale, e ciò proprio in virtù dell'energie profuse in tale conflitto. Solo a partire dagli anni 50 la loro posizione fu parzialmente ridimensionata a causa dell'apparizione sugli scenari mediorientali di una nuova potenza, l'Unione Sovietica, alla quale i giovani governi arabi di ispirazione nazionalista, succeduti spesso ad inette monarchie dinastiche, si rivolsero al fine di poter contrastare il potere statunitense e quello del suo più fedele alleato nella regione, lo Stato di Israele da poco costituitosi. Per un lungo periodo si assistette, in Medio Oriente, come, del resto, a livello planetario, ad una sostanziale divisione delle rispettive aree d'influenza, divisione che provocò una situazione di sostanziale equilibrio. Equilibrio che si frantumò alla fine degli anni 80 del secolo or ora passato, allorché si assistette al repentino e, per molti versi, inatteso, crollo del regime comunista in Russia e al contestuale venir meno della contrapposizione tra i due blocchi. Tutto quello a cui stiamo assistendo in Medio Oriente nell'ultimo decennio non è altro che la logica conseguenza del mutato scenario politico internazionale, che ha di fatto visto assurgere gli Stati Uniti al ruolo di unica ed incontrastata potenza egemone mondiale.

 

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