Pubblicato su Politica Domani Num 22 - Febbraio 2003

Cinema
Chaplin dittatore di Hitler
Un inno e una preghiera per la pace nel mondo

Giorgio Razzano

Pochi sanno, ma, i due personaggi: uno cinematografico, Chaplin, l'altro storico, Hitler, nacquero lo stesso anno, nello stesso mese e persino nella stessa settimana a pochi giorni di differenza, il 16 aprile 1889 il primo, il 20 aprile 1889 l'altro. Un caso forse, una coincidenza che li avrebbe uniti, fantasticamente, quando Charlie Chaplin decise di creare un film su Hitler il cui titolo era "Il grande dittatore".
Uscito di nuovo nelle sale italiane il famoso film ha riscosso un grande successo: infatti, restaurato e completato con l'aggiunta di alcune scene che mai furono inserite nell'edizione italiana del 1949 e nella riedizione del 1972, oggi appare un lavoro moderno, elegante, raffinato e soprattutto divertente. La storia è la vita di un barbiere ebreo (Chaplin) che, tornato dal fronte, scopre che il suo paese è in mano al dittatore Adenoid Hynkel (sempre Chaplin) che sogna di conquistare il mondo e di governare liberamente la Ptomaina. Il barbiere, che si è innamorato della bella Hannah (Paulette Goddard), in seguito a una serie di fughe e inseguimenti, è scambiato per il capo nazista a causa della somiglianza fra i due. Salito sul palco affronterà la folla oceanica con un discorso di pace e di amore, conquistando e commovendo tutto il mondo.
Si ride per tutto il film; il grande attore mostra che, anche se il film è muto, l'uso del sonoro che se ne fa lo rende grandioso. Chaplin usa la magia cinematografica per raccontare fatti tristissimi: la Germania nazista, il suo dittatore, l'uomo più crudele del mondo, e le deportazioni degli ebrei, ma al tempo stesso cerca di sdrammatizzare, di far ridere lo spettatore, di commuoverlo e farlo riflettere, lasciandogli in fondo la speranza che un giorno il mondo sarà migliore e senza pericoli.
Abilmente ogni cosa funziona alla perfezione con gag e battute. Tutti i personaggi creati giocano ruoli fondamentali e perfettamente riusciti da "Napoloni" (Mussolini) e sua moglie, una donna grassissima, a "Garbitsch" e "Herring", parodie dei collaboratori di Hitler, caricature reali che mostrano il lato buffo e non quello drammatico della realtà.
Ma la chiave della modernità di quest'opera eccezionale è nel discorso finale: scritto dall'attore nel 1937, quando pochi prevedevano quello che sarebbe successo, a tutt'oggi mostra di avere validità in ogni sua parola.
Il monologo recitato da Chaplin, un ebreo sul palco d'onore di un nazista, tocca valori universali validi per ogni nazione: non arrecare guerre ad altri popoli in nome di stupidità, false glorie e futili ragionamenti da megalomani, ma soprattutto un fortissimo desiderio, presente nel cuore di tutti, di esortare i governi a proteggere e curare i propri cittadini, ad aiutare i giovani nella crescita e nella loro formazione, a garantire assistenza agli anziani e tutelare la vita, tutti problemi ancor oggi diffusi e che sembrano aumentare in gravità.
Chaplin invita a non fare guerre se prima non si sono risolti i problemi del proprio popolo e, a distanza di più di sessant'anni, mostra una storia che torna a ripetersi, gioca su personaggi della sua epoca, veri e falsi, sostituisce e impasticcia nomi e discorsi - come quelli fatti da Hynkel - ma alla fine dimostra a tutti che in ogni epoca ci sono dittatori e guerre, ricchi e poveri, odio e pochissima pace in ogni angolo della terra.

 

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Num 22 Febbraio 2003 | politicadomani.it