Pubblicato su Politica Domani Num 21 - Gennaio 2003

America Latina
Situazione esplosiva in Venezuela
Il paese sull'orlo della guerra civile

Maria Mezzina

"Cacerolazos". Il sonoro e variopinto sciopero a suon di pentole e di coperchi iniziato dalla borghesia argentina solo un anno fa, allorché i risparmi della gente sono stati congelati dalle banche per scongiurare il collasso economico-finanziario del Paese, è ritornato a farsi sentire nelle strade del Venezuela. Scopo del baccano: la cacciata del Presidente Hugo Chavez, accusato di portare il Paese alla rovina, di fomentare le divisioni, di monopolizzare i media, di governare con arroganza, di reprimere con la violenza le manifestazioni di massa dell'opposizione. Accuse pesanti, che hanno già portato ad un fulmineo colpo di stato (durato peraltro appena due giorni) e alla deposizione temporanea di Chavez, reintegrato poi nella sua carica dall'esercito spalleggiato dalle folle dei miserabili del Venezuela, che vedono in Chavez il loro paladino e difensore. Salito al potere in seguito a libere elezioni nel 1998, Hugo Chavez ha fatto molto per risollevare il Paese, che è anche il più grande produttore di petrolio dell'emisfero occidentale, il quinto nel mondo, il cui greggio, per l'80% va a finire negli USA che con il petrolio del Venezuela coprono il 13% del loro fabbisogno. Nel 1999 Chavez ha fatto approvare una delle più avanzate e democratiche costituzioni del Sud America. Grazie ad una legge delega ha promulgato un pacchetto di importanti leggi sulla redistribuzione della proprietà terriera, su aiuti all'agricoltura, sulla scolarizzazione dei ceti più poveri, sulla organizzazione e il controllo del lavoro informale, sulla sanità pubblica. Ha avuto però anche il torto di opporsi al predominio di elites di potere, ben consolidate da 40 anni di supremazia sul Paese, che nell'opera di Chavez hanno visto minacciati i loro interessi e la loro posizione, inimicandosi le più forti organizzazioni socio-economiche.
La Camera di commercio (Federcameras) è preoccupata per le innovazioni dovute alla riforma agraria. La PDVSA, la più grande compagnia petrolifera e terzo fornitore di petrolio degli USA, costretta dal Presidente ad adeguarsi alle politiche dell'OPEC, il cui fine è garantire un prezzo del greggio stabile, in modo da assicurare allo Stato gli introiti necessari a sostenere il vasto programma di interventi sociali, si è infuriata soprattutto per la sostituzione ai suoi vertici del presidente della compagnia e di cinque altri membri con altrettanti fedelissimo di Chavez. I potenti sindacati unitari (CVD) sono preoccupati che le leggi del Presidente possano portare a forme di licenziamento di massa a causa della perdita di potere della classe dei commercianti, ma ancora di più sono preoccupati per gli interventi di Chavez ai vertici del sindacato stesso. I mezzi di comunicazione di massa, da sempre nelle mani della ricca borghesia, sono abitualmente e frequentemente usati dal Presidente per proclami alla nazione a reti unificate. I membri più conservatori della chiesa cattolica sono preoccupati della ideologia popolar-comunista di Chavez e della sua amicizia con Castro, ma ancora di più sono preoccupati per i suoi violenti attacchi pubblici. L'opposizione al Presidente, dopo il fallito colpo di stato dello scorso aprile, non demorde. È stato chiesto l'intervento dell'OAS (Organizzazione degli Stati Americani) e degli Stati Uniti. Il 2 dicembre è stato proclamato uno sciopero generale che non è ancora concluso; la chiusura degli esercizi commerciali da parte dei proprietari ha impedito di valutare in modo obiettivo la reale consistenza della partecipazione allo sciopero. La chiusura degli stabilimenti petroliferi e il blocco delle navi per il trasporto del greggio nei porti che a tutt'ora (27 dicembre) si protrae sta dando una forte scossa all'economia del paese, già compromessa per altri motivi, e ha fatto lievitare il prezzo del greggio a livello mondiale. Sono state raccolte due milioni di firme per indire un referendum per la deposizione del Presidente; la data è stata fissata per febbraio 2003 ma è iniziata un'aspra battaglia giuridica sulla validità della richiesta e la costituzionalità del referendum. Gli eventi sono regolarmente e incessantemente amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, tutti rigorosamente privati (vi è una sola TV di Stato e un solo giornale non schierato con l'opposizione). Il Presidente, si difende come può e lo fa male. I suoi discorsi sono intrisi di retorica e violenza verbale e puntano più alla ideologia e alla contrapposizione frontale con l'opposizione piuttosto che alla ricerca di una via comune e del dialogo. Alcuni interventi, giustificabili, di Chavez sono stati fatti in modo intempestivo (come la sostituzione del capo della polizia municipale di Caracas, corrotta e violenta, ma anche una delle voci più aspre dell'opposizione). I Circoli Bolivariani, voluti da Chavez per aiutare i cittadini dei quartieri e difendere la "rivoluzione", sono accusati di perpetrare violenze e di armare la gente. Il Presidente ha messo da parte tutti coloro che, pur non essendo all'opposizione, avevano idee diverse dalle sue e li ha sostituiti con suoi fedelissimi, privandosi così dell'appoggio di una parte consistente di quella elite culturale moderata, disgustata peraltro anche dai sui violenti attacchi contro la Chiesa cattolica, che potrebbe fare da naturale mediatore fra i sostenitori del Presidente e i suoi oppositori.
L'accusa reciproca di voler alimentare il caos per poi giustificare un colpo di stato è quanto mai credibile per ambedue le parti. E mentre i media continuano a coprire in modo ossessivo le manifestazioni di massa anti-Chavez e i potenti delle multinazionali stanno a guardare in attesa del momento giusto per intervenire, il paese continua a precipitare verso il baratro.

 

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Num 21 Gennaio 2003 | politicadomani.it