Pubblicato su Politica Domani Num 21 - Gennaio 2003

TV di Stato
La Rai non vola più
La situazione di un'azienda in crisi

Roberto Palladino

C'è un cavallo alato, color oro, alto una ventina di metri che svetta nel giardino davanti Saxa Rubra, la sede dei telegiornali e dell'informazione Rai. L'equino rappresenta la nuova versione del vecchio ma più sobrio cavallo di viale Mazzini. La strana bestia non sembra però essere entrata, come il collega della sede centrale, nell'immaginario collettivo se non per un dettaglio: un'enorme corda legata attorno al collo che scende in verticale fino al terreno. Ma cosa rappresenta quella corda? Nella pratica sembra serva ad evitare che il cavallo cada per terra. Pare infatti che l'imponente lazo non fosse previsto nel progetto originale e che sia stato aggiunto in seguito alla posa della statua, quando ci si accorse della pericolosa instabilità di tutta l'installazione. Non abbiamo notizia del dibattito, ammesso che ci sia stato, su come risolvere il problema delle equine oscillazioni. Fatto sta che si decise per la corda, e che corda poi fu. Ma l'immagine che ne viene fuori non è delle migliori: un'informazione imbrigliata, un cavallo che ha le ali e non le può usare, un senso di limite. Forse un presagio della situazione della Rai di adesso: un'azienda in crisi. Un ristagno negli ascolti, con i programmi più importanti, come la prima serata di Morandi, che non riescono a decollare. La crisi economica, con la conseguente diminuzione delle inserzioni pubblicitarie. Ma soprattutto un momento di forte instabilità istituzionale, con un consiglio di amministrazione che ha visto dimettersi tre consiglieri su cinque e che va avanti tra le polemiche e la sfiducia generale. La Rai, il più grande editore italiano, sembra condividere con l'altra grande industria italiana, la Fiat, un momento e, forse, un destino di tagli e ridimensionamenti. L'industria dell'informazione e dello spettacolo di stato è un gigante composto da migliaia di dipendenti, tre canali generalisti terrestri ed una decina di canali tematici satellitari. Una società che ha sedi in tutte le province italiane e nelle capitali del mondo, per centinaia di ore l'anno di programmazione. Ma come è possibile che un gigante di questo tipo cada in una crisi a tutto tondo? Il motivo principale sembra trovarsi nella organizzazione istituzionale della Rai, che è un'azienda pubblica, controllata dai Presidenti di Camera e Senato, di proprietà del Ministero del Tesoro, ma che si trova ad avere competitors esclusivamente privati. Questo ha provocato nel corso degli anni un lento livellamento della azienda di stato verso la concorrente Mediaset, con una continua rincorsa agli ascolti che ha provocato spesso le ire di critici e spettatori, oltre che clamorosi flop. E così, se Canale5 fa il pieno di ascolti con "Striscia la notizia", Raiuno prova a rispondere con i deboli Max e Tuc e se le reti Mediaset aumentano gli intervalli pubblicitari per film, ecco che anche la Rai si adegua passando negli ultimi anni da uno a ben tre "consigli per gli acquisti". Una situazione aggravata dal fatto che l'azienda di Viale Mazzini riceve ogni anno un canone di abbonamento che dovrebbe riuscire a garantire meno spot e più qualità. A complicare la situazione ci sono poi le troppe ingerenze politiche che fanno sì che ad ogni cambio di governo corrisponda un nuovo Consiglio di Amministrazione dell'azienda pubblica. Un fardello, questo della gestione pubblica, che oggi sta mostrando tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni. Si sta ora avviando un lento ma deciso processo di ammodernamento dell'azienda con il probabile ingresso entro pochi anni di capitale privato. Una soluzione la cui efficacia è tutta da dimostrare. La speranza è che i 14 milioni di spettatori della due ore senza interruzioni pubblicitarie di Roberto Benigni, suonino come monito per la dirigenza Rai che forse si dovrebbe accorgere che il pubblico vola un po' più alto di quanto, forse, si creda.

 

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Num 21 Gennaio 2003 | politicadomani.it