Pubblicato su Politica Domani Num 21 - Gennaio 2003

Guerra duratura
DA CARACAS A BAGDAD
Quali le priorità nell'agenda USA?

Giorgio Innocenti

L'ultima trovata degli Stati Uniti, la guerra preventiva, non trova appiglio in nessun diverticolo del diritto internazionale. Che la comunità internazionale non opponga resistenza alcuna è solo l'ennesima conferma dei rapporti di vassallaggio che legano gli USA agli attori nazionali e sovranazionali che si trascinano sulla scena politica mondiale. Che la società civile non si levi a protestare è segno che le fobie pazientemente instillate dai media nelle nostre menti cominciano a portare frutto. Ormai Saddam ci fa tanta paura che per eliminarlo siamo disposti a rinunciare a quella parvenza di dignità che il diritto conferiva ai rapporti tra nazioni.
Mi pare ad ogni modo improbabile che a spingere gli USA ad attaccare l'Iraq sia la remota possibilità che Bagdad nasconda armi di distruzione di massa, per le quali non disporrebbe oltretutto di vettori di lunga gittata. Se il buon senso porta a questa considerazione, due fatti intervengono a confermare l'esistenza di un'altra motivazione.
Il primo è il comportamento di Washington di fronte alla decisione della Corea del Nord di riaprire il reattore Nucleare di Yongbyon, chiuso dal 1994 a seguito di un accordo bilaterale stipulato con gli USA. Il reattore sarebbe in grado di produrre plutonio a scopo militare. Pyongyang ha espulso gli ispettori dell'ONU incaricati di controllare il rispetto degli accordi. La risposta statunitense si limita, per ora, ad un appello all'ONU perché adotti sanzioni politiche ed economiche e alla possibilità ventilata d'intercettare le forniture di missili nord-coreani a terzi. Se la dottrina della guerra preventiva fosse qualcosa di più di un velo per coprire ben altri interessi, Pyongyang dovrebbe scavalcare Bagdad nelle priorità del governo Bush. Così non è.
Il secondo ci porta diritti a questi altri interessi. Si tratta della posizione assunta da Washington nei confronti della crisi Venezuelana: finanziamenti ai partiti d'opposizione, appoggio organizzativo per il golpe d'aprile, immediato riconoscimento del nuovo governo (durato 48 ore) ed ora pressioni su Chavez perché accetti di andare ad elezioni anticipate.
Il presidente venezuelano è inviso agli Stati Uniti per diversi motivi ma il principale è senz'altro la nuova politica petrolifera del Venezuela: maggioranza del governo in tutte le nuove joint ventures del settore petrolifero, innalzamento delle royalties che le compagnie straniere devono allo stato, difesa del prezzo del petrolio e sua stabilizzazione (a 25 $ il barile) sul mercato mondiale; politica culminata con la presidenza OPEC del Venezuelano Alì Rodriguez. Se si considera che il Venezuela copre circa il 26% delle importazioni di petrolio negli USA, si comprende perché questi si diano tanto da fare per avere nel paese un governo più accondiscendente.
Ecco il filo rosso che congiunge il Venezuela - privo di relazioni col terrorismo internazionale e non militarmente pericoloso - ai paesi colpiti dalla guerra al terrorismo: la politica energetica, conditio sine qua non della nuova strategia egemonica statunitense.
Afghanistan: porta d'accesso alle enormi risorse di petrolio e gas naturali del Caspio e delle repubbliche dell'ex Sovietiche. Qui la Unocal (compagnia USA) sta costruendo un gasdotto che dal Turkmenistan raggiungerà il Pakistan. La società si era accordata con i Talebani ma non aveva potuto iniziare i lavori a causa dell'instabilità politica da loro determinata. Con Karzai (ex consulente della Unocal stessa) le cose dovrebbero andare meglio.
Colombia, Ecuador e Bolivia: con il "Plan Colombia" (ufficialmente teso a contrastare il narcotraffico) Washington intende assumere il controllo delle risorse petrolifere e dell'enorme patrimonio biogenetico, unico al mondo.
Iraq: il paese che ospita le maggiori riserve di petrolio. Ha una produzione ridottissima a causa dell'embargo. Sostituendo a Saddam un governo amico, gli USA potrebbero far crollare il prezzo del petrolio aumentando la produzione. Determinerebbero così una ripresa dell'economia ed una crisi dei paesi OPEC.
Passi successivi potrebbero essere un attacco all'Iran ed il sostegno ad un ricambio nella classe dirigente saudita: troppo legata alla rete di Bin Laden.
L'unico punto debole degli Stati Uniti in questo momento è la non autosufficienza energetica; ogni altro problema passa in secondo piano.

 

Homepage

 

   
Num 21 Gennaio 2003 | politicadomani.it