Pubblicato su Politica Domani Num 20 - Dicembre 2002

Dopo il vertice di Praga
UN AMERICANO A BUCAREST
Bush dà il ben venuto alla Romania: invoca il suo dio

Giorgio Innocenti

Ventitré novembre. Bucarest. Bandierine colorate che spuntano da ogni dove, strade tirate a lucido, traffico bloccato, edizioni speciali (editie istorica) dei giornali, talk show che sbrodolano celebrazioni del memorabile evento. Che succede? L'adesione della Romania alla NATO? In parte. Solo per pochi. La gran massa delle persone, in questo paese, guarda agli avvenimenti politici con il il disincanto di chi sa di non poter influire sul futuro del proprio paese. Di chi è passato dal giogo del partito unico alla beffa di una democrazia che ha affidato il governo del paese alle seconde file del passato regime e il ruolo d'opposizione a soggetti totalmente impreparati. Di chi ha veduto svanire l'illusione di un reale potere politico dei cittadini e concentra tutte le sue forze sulla speranza di un miglioramento economico che il libero mercato ed i suoi alfieri dovrebbero portare. Ciò che crea tanto entusiasmo è un altro avvenimento: il presidente degli USA, di ritorno dal vertice di Praga che ha ufficializzato l'entrata nella NATO di alcuni paesi ex-comunisti, farà visita alla capitale Romena. L'uomo che rappresenta il potere centrale del nuovo ordinamento globale farà visita a questa sperduta periferia. Questo eccita la gente: essere visibili, apparire al centro. Questo è essenziale per un popolo che, grazie alla TV via cavo, può vedere numerosi canali esteri e, sulle reti nazionali, assiste perlopiù a film stranieri, in lingua originale. Un popolo sovresposto agli input della cultura occidental-capitalistica, che ammira, ma dalla quale si sente escluso. Cosciente di non essere neanche visibile ad essa: vi è mai capitato di vedere un film romeno?
In questo clima è facile immaginare poco spazio per la contestazione; qualcosa organizzano i nazionalisti del Partitdul de Romania Mare (Partito della grande Romania): un nome, un programma. In ogni caso le loro voci si perdono tra i cori adoranti.
Così sotto la pioggia, dopo aver superato diversi controlli, migliaia di persone si accalcano sin dalla mattina attorno al palco. La vasta Piata Revolutiei è piena. Dai palazzi scendono cartelloni raffiguranti mani che si stringono. I cieli blu che fanno da sfondo ai manifesti stridono con il grigio del cielo che rovescia sulla folla una pioggerella lieve ma costante. Dai tetti dei palazzi figure nere scrutano la folla. Il colossale impianto d'amplificazione manda a tutto volume musica galvanizzante e rigorosamente anglofona. La gente sventola festosa le bandierine statunitensi. La pioggia si fa più forte, gli ombrelli coprono le bandierine.
Ecco l'inno rumeno, quello americano, un'esplosione d'euforia, le bandierine tornano a sventolare (anche perché, per motivi di sicurezza, si devono chiudere gli ombrelli), sono le cinque del pomeriggio, con due ore di ritardo arriva l'ospite tanto atteso. I grandi schermi rimandano le immagini per quanti non arrivano a vedere, comincia il discorso. L'oratore interpreta al meglio la situazione. "Salut", inizia in Rumeno e la folla esplode, poi continua e subito nomina "God", dio, che tornerà diverse volte come altri riferimenti alla religione che gli estensori del discorso hanno sapientemente intrecciato ai temi della famiglia (la NATO), dell'amicizia e della pace. Solo dopo diversi minuti si arriva all'argomento centrale: un accenno alla pace offre l'aggancio per arrivare all'Iraq. La guerra: necessaria per eliminare la continua minaccia che grava su tutti noi (inclusivo della Romania, ora parte "dell'Occidente"), per ottenere la pace. Poi la tensione narrativa va scemando conclude il discorso con qualcosa come "pregherò il mio dio". Strette di mano alla gente che s'accalca e via.
Il "mio dio". Ecco un altro da aggiungere alla lunga lista di quanti usano Dio, un dio personale, per giustificare guerre, stragi, morte.
Sono in parecchi su quella lista, uno solo però è a capo dello stato più potente della terra. Non so a voi, a me è quello che fa più paura.

 

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Num 20 Dicembre 2002 | politicadomani.it