Pubblicato su Politica Domani Num 20 - Dicembre 2002

L'intervista a
Roberto Renga

di Simona Ottaviani

Ci parli degli assetti finanziari delle società di calcio e degli stipendi dei giocatori.
L'assetto finanziario è disastroso perché i presidenti sono convinti che, siccome non saranno mai loro a tirare fuori i loro soldi, spendono molto più di quanto incassano. È come se un padre di famiglia che guadagna un milione al mese in realtà ne spendesse tre per dare un milione a un figlio per la cocaina, un milione a un altro per la macchina e un altro milione per i vestiti. Alla lunga si fa il botto. È il caso della Fiorentina, in parte della Lazio, e di tante altre società sportive soprattutto al sud. C'è una pessima gestione. I giocatori in Italia guadagnano moltissimo per due motivi: perché i presidenti sono come i tifosi, vogliono prendere il giocatore più bravo e se lo strappano l'un l'altro dandogli più soldi, e poi perché nel calcio girano molti soldi e se girano molti soldi un po' se ne fermano sempre nelle tasche di qualcuno. Nel calcio un giocatore che vale 500 milioni non fa gola a nessuno, se invece vele 40 miliardi lo vogliono tutti perché così si ferma un miliardo qua e un miliardo là. Più soldi girano e meglio è.

Ci spieghi, se c'è, la relazione fra il costo di un campione, il rendimento della squadra e i benefici economici. È possibile parlare di stabilità societaria?
Non si sa mai se c'è una relazione. Se il giocatore è veramente un fuoriclasse allora ci sono risultati immediati. Per esempio, con un Ronaldo giovane si hanno risultati subito: economici perché si fanno molti abbonamenti e arrivano gli sponsor, e sportivi con i risultati sul campo. Nel calcio c'è molta fretta e occorre avere risultati immediatamente, sia economici che tecnici. Questo però ha fatto sì che in Italia non si lavorasse più; nessuno ha più avuto idee e ci si è messi ad aspettare solo il colpo di Ronaldo o di Rui Costa. E così il calcio italiano è stato eliminato dai mondiali e le coppe sono andate malissimo. Abbiamo toccato il fondo. Adesso stiamo risalendo: quattro squadre italiane hanno passato il primo turno di Champions League ed è già qualcosa. Ad aggravare la situazione c'è il fatto che non c'è stabilità economica perché le società costano tanto. Nessuno è più interessato a comprare le società di calcio perché adesso per comprare una società come la Roma o la Lazio ci vuole una multinazionale. Quando si compra una società non è che si tirano fuori, ad esempio, 700 miliardi perché non ci sono in liquidi, occorre firmare fideiussioni per quella cifra, cioè bisogna avere in banca almeno un miliardo e sono pochi quelli che ce l'hanno e vogliono spenderlo. Perché comunque, non si sa mai come la squadra andrà a finire. Non c'è più convenienza e quindi non c'è neanche solidità. Inoltre l'eccesso di spese è causa di gravi disavanzi e nessuno comprerebbe un'azienda sull'orlo del fallimento. Si spende in una maniera assolutamente difforme da qualunque logica; fino a poco tempo fa il mondo del calcio italiano era in debito di 1500 miliardi, adesso i miliardi potrebbero essere 2000. La maggiore responsabilità va ai presidenti che hanno amministrato male nonostante abbiano preso un sacco di soldi dalle televisioni criptate. Il giro è questo: una società sa di prendere per diritti televisivi 600 miliardi in sei anni, va in banca e se ne fa dare 500, poi se li fa scontare vendendo i diritti TV alla banca; la banca prenderà 600 miliardi in sei anni, la società ne ha presi 500 tutti insieme, ma, invece che in sei anni, li spende in un giorno. Società gestite in questo modo sono un insulto alla logica.

Cosa pensa delle azioni di borsa delle società di calcio?
Io non ho comprato nemmeno un'azione. Non sono un economista e non me ne intendo e poi affidare i miei risparmi a qualcosa di così aleatorio come il calcio mi sembra eccessivo. In Inghilterra le società quotate in borsa hanno stabilità - il Manchester ha lo stadio, il merchandising - in Italia non hanno niente, al più c'è un impianto sportivo (magari ipotecato) ma non hanno lo stadio. Il capitale è fatto soltanto del valore dei giocatori, ma questo capitale è molto aleatorio.

Ci sono ancora i valori che dovrebbero contraddistinguere un gioco di squadra come il calcio, generosità, fatica, capacità atletica, furbizia e competitività?
Questi valori ci sono ancora; per esempio presso una certa parte di tifoseria, la parte più sana, quelli che vanno allo stadio con le famiglie e ci sono anche in alcuni giocatori. Ma non ci sono in molti mass media, in molti giornali e nei tifosi soldati del tifo, quelli che lo fanno come professione. Non ci sono neanche nei dirigenti perché a loro interessa soltanto avere dei ritorni e quindi i successi. C'è la furbizia ma non la generosità. E invece lo sport è generosità. In Italia c'è la cultura della furbizia, conta solo vincere. E se conta solo vincere va bene la corruzione, la violenza, il doping.

Ci parli dei vivai e di come le squadre legano a sé le "giovani promesse".
Si dà pochissima attenzione ai vivai. Una società come la Roma spende per il vivaio meno di un miliardo e 100 milioni l'anno. È un errore clamoroso. Le società spendono un sacco di soldi per i grandi giocatori, ma non riescono a capire che ne dovrebbero spendere anche di più per i vivai. Perché basta un Nesta o un Totti ad ogni generazione e si recuperano tutti soldi. Con i vivai girano troppo pochi soldi e quindi non c'è interesse. Però così non può continuare e quando arriveremo alla povertà assoluta francescana è chiaro che dovremo tornare ai vivai. I giovani che sembrano più bravi sono fermati con un contratto. Ritornano liberi al compimento dei 16 anni (dal prossimo anno saranno liberi dai 16 fino ai 18).Le squadre cercano di trattenere i più bravi ma quando questi sono liberi vanno là dove i soldi girano (per esempio tanti ragazzi della Lazio sono andati in Inghilterra). Quella del calcio è una società completamente capitalizzata e anche il ragazzino di 16 anni vuole guadagnare un sacco di soldi, perché questo è il modello che gli viene fornito.

Senegal e Chievo sono meteore o segnale di un mondo del calcio che sta cambiando?
Il Chievo (ma ora anche Modena ed Empoli) è la prova che con le idee si può fare calcio anche da poveri. Il Senegal è una cosa a parte, i senegalesi non sono calciatori veri, sono dei "poeti del calcio". Non si può fare affidamento su di loro; li conosco bene perché sono stato lì un mese e ho fatto calcio con loro, li ho studiati. Quando hanno voglia sono bravissimi, come tutti i calciatori africani ma la loro non è una vera squadra di calcio: non hanno il senso della fretta e della cattiveria. Sono una razza straordinaria, sono africani; gli chiedi quando parte l'aereo e ti dicono "Non lo so, quando è pieno". È difficile poter fare calcio con loro, è una cultura diversa: quando i ragazzi giocano sulla spiaggia non fanno gol, si girano e tornano indietro perché dicono che il gol è la morte dell'avversario e non vogliono ucciderlo. Da noi è l'esatto contrario. Non è per la povertà che non c'è una squadra nazionale, perché anche se sei povero riesci comunque a farla; è un po' per mancanza di organizzazione e un po' perché è una cultura diversa dalla nostra. Se si portassero i senegalesi in Europa diventerebbero i più forti di tutti.

È opinione che l'inizio della decadenza del calcio italiano è corrisposto con l'entrata in politica di Silvio Berlusconi. Cosa ne pensa?
Non so se la decadenza è iniziata da allora, ma sicuramente da allora nel calcio sono entrati soldi a dismisura, con Silvio Berlusconi prima e con Sergio Cragnotti poi. Berlusconi è stato il primo a spettacolarizzare il calcio e a rendere spettacolo anche l'acquisto di giocatori strapagati: li pagava moltissimo, quindi - diceva - sono molto bravi. Lui però con le televisioni aveva un ritorno, gli altri presidenti che hanno seguito la stessa strada non avendo le televisioni non hanno avuto ritorno. Secondo me Berlusconi è stato il presidente più bravo, quello che ha capito Sacchi e ha capito che il calcio andava cambiato e doveva diventare uno spettacolo. Però è anche quello che il calcio l'ha un po' rovinato, facendo passare gli ingaggi dei giocatori da 100 a 1000. Da allora il calcio si è affidato completamente ai soldi e ci hanno rimesso tutti.

 

Roberto Renga
È giornalista de "Il Messaggero" (caposervizio, editorialista ed inviato speciale). È presidente dell'Albatros, squadra di prima categoria laziale. È inoltre presidente di quattro squadre tra juniores, calcetto femminile e calcio maschile (una squadra di promozione e una di seconda categoria).

 

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