Pubblicato su Politica Domani Num 19 - Novembre 2002

Opera Nazionale della CdR
Testimonianze Dalla "Città dei Ragazzi"
le interviste di Simona Ottavini

Risponde Padre Annibale Divizia, Direttore educativo

Carrol-Abbing era un giovane sacerdote irlandese venuto durante la guerra qui in Italia alla segreteria di stato e presto divenne il personaggio attraverso il quale il vaticano cercava di aiutare le vittime dei bombardamenti, della guerra stessa. Nella sua esperienza di venire incontro a questi bisogni praticamente vide che erano le vittime più colpite dalla guerra stessa per cu divenne il "prete degli sciuscià" vale a dire di quei bambini che non avevano punti di riferimento e con essi e per essi praticamente escogitò una presenza che fosse educativa e non semplicemente assistenziale. All'inizio una prima esperienza educativa fu la costruzione della repubblica dei ragazzi a Civitavecchia ma presto lasciò quell'istituzione, venne qui a Roma negli anni '50 fondando la città dei ragazzi qui in via della pisana. L'opera inizialmente si chiamava opera per il ragazzo di strada proprio per venire incontro a quei bisogni che la guerra aveva creato.

Poi invece si ideò negli anni 1953 una città dei ragazzi vera e propria rifacendosi un po' al modello americano della città dei ragazzi di Padre Flenaghan (?). quali erano le finalità proprie di questa istituzione? Promuovere e favorire tra i ragazzi mediante centri di raccolta nei quali si provvede anche alla loro assistenza all'educazione sociale e professionale, particolarmente per quelli traviati e vittime della guerra. L'opera si interessa alla creazione di centri di ricovero, centri di educazione sociale e professionale, nonché al miglioramento di quelli esistenti a svolgere ogni altra attività annessa e connessa allo scopo dell'opera. Questa è una parte dello statuto. Quando questa idea di una città per i ragazzi prese corpo praticamente lui ebbe questo sogno, il sogno di realizzare una comunità dove i diritti e i doveri innati e la missione da Dio affidata ad ogni ragazzo nella società sarebbero stati rispettati, una fraterna comunità dove giovani resi cinici dalle loro esperienze negative avrebbero imparato la difficile arte di vivere insieme in libertà, in mutua tolleranza e in pace, un luogo sereno dove il ragazzo asociale avrebbe trovato comprensione per le sue difficoltà e incoraggiamento nello sforzo di elevarsi, un luogo dove il fanciullo amareggiato avrebbe imparato dalla dedizione degli anziani che nel mondo vi è calore, bontà, abnegazione, un luogo dove il giovane spronato a sviluppare le proprie qualità avrebbe potuto progredire giorno per giorno, un luogo dove lo scopo finale sarebbe stato quello di aiutare ogni fanciullo a trovare il giusto posto nella società secondo il piano di Dio. Un sogno meraviglioso, un sogno che in un certo momento diventava anno dopo anno una realtà viva qui nella città dei ragazzi perché i tanti ragazzi minori a disagio per motivi di famiglia, per motivi vari delle contraddizioni della vita trovarono qui nella città dei ragazzi un ambiente confacente, aperto, ben sistemato, accogliente, all'interno di una azienda agricola che aveva una sua valenza anche pedagogica nel senso che la laboriosità dell'azienda agricola diventasse esempio per i ragazzi che crescevano, un ambiente nel quale la scuola era parte integrante, ed era anche interna sia per la scuola media che il triennio dell'istituto professionale. tutto questo incentrato su un metodo pedagogico che viene chiamato "dell'autogoverno", cioè un sistema pedagogico che non si limitasse soltanto ad avere fiducia del ragazzo, chiunque esso sia, ma a farlo diventare protagonista in tanti aspetti della sua vita. Questo sistema dell'autogoverno tende sa sviluppare nel minore il senso della responsabilità e della corresponsabilità, che non è solo, è con gli altri, lo fa sentire cittadino protagonista e responsabile, per questo i ragazzi vengono chiamati "cittadini", lo abitua a stabilire giusti rapporti con gli altri perché deve stare, discutere, parlare, lo forma al rispetto dei diritti e dei doveri propri di ogni convivenza civile e democratica, sollecita in lui la crescita del senso morale e del senso civico, cose importantissime, lo forma ad una pacifica convivenza in una dimensione interculturale, interrazziale, interreligiosa perché nella Città dei Ragazzi la presenza è multietnica. Inizialmente lo era di meno perché erano soprattutto i minori a disagio italiani che erano presenti qui nella città, ma con il passare del tempo la presenza di ragazzi minori stranieri è andata sempre più diventando consistente fino al punto che oggi è di gran lunga prioritaria. Eccettuate su un numero di una sessantina di ragazzi sono 7 o 8 gli italiani tutti gli altri sono stranieri provenienti da varie situazioni, quelle che sono più calde se vogliamo nella situazione politica internazionale: l'Albania in modo particolare, paesi dell'est europeo, paesi dell'Africa, l'Etiopia, il Marocco, il Pakistan. Sono varie provenienze che costituisce problema ma nello stesso tempo opportunità cioè di trovarsi insieme realizzando in qualche modo quella società verso la quale noi ci avviamo , la società multietnica, multirazziale, multireligiosa. C'è da sottolineare, per esempio, che questa opera che è riconosciuta e dallo Strato e dalla Santa Sede, per cu è anche opera di culto, come presenza di minori sono di gran lunga più numerosi i non-crisitiani, i musulmani dei cristiani, fra i cristiani ci sono alcuni cattolici ma ci sono altri che sono di rito copto oppure sono ortodossi e questo presenta problemi non indifferenti anche dal punto di vista educativo. Nel passato quando era più omogenea la provenienza praticamente la grande chiesa qui costruita è perché si riempiva di tutti questi ragazzi che andavano alla Messa, c'era tutto un ritmo anche di cerimonie religiosa molto significativo e Monsignore, che in qualche modo, animava tutta la città, in quei momenti trovava di fronte a se tutti i ragazzi verso i quali rivolgere messaggi e diventavano poi messa educativi per l'intera vita cittadina. Oggi sono un gruppetto di ragazzi che vengono la domenica a Messa, per i musulmani è stata anche allestita una sala con tappeti tipo moschea sollecitando l'incontro con Dio, vengono rispettate tutte le norme proprie della religione musulmana per cui a tavola c'è il cibo per i musulmani, quando ci sono affettati, carne di maiale che loro non mangiano, "sono musulmano" significa che prendono un altro piatto; come pure per il Ramadan, quest'anno erano 12 o 13 ragazzi musulmani che facevano il Ramadan quindi mangiavano la mattina alle 4 il panino che la sera avevano preso, facevano il digiuno, alle 5 la cucina si apriva e veniva preparato il pasto per loro nel rispetto di questo.
Le difficoltà ci sono, non dimentichiamoci che specialmente alcuni gruppi sentono una loro appartenenza quasi da clan e quando il ragazzo entra in questa prospettiva trova più difficoltà ad interrelarsi con gli altri. Normalmente c'è una convivenza abbastanza pacifica, non esistono problemi particolari di rifiuto di un'etnia sull'altra etnia ma si rispettano vicendevolmente, stanno insieme, vivono lo stesso ritmo di vita nella giornata. Senz'altro ciascuno poi porta quelle caratteristiche che sono proprie dell'etnia di appartenenza in senso positivo come a volte in senso negativo, come è logico che questo avvenga. Uno dei problemi che può nascere è quando la presenza di una etnia diventa talmente preponderante da assumere pienamente la gestione dell'autogoverno, allora si possono creare questi problemi ma adesso si stanno molto ridimensionando questi fenomeni. Senz'altro è un campo in cui non si lavorerà mai abbastanza, quello di sapersi accettare nonostante la diversità, quello di saper collaborare nonostante le idee diverse, quello di saper convivere pacificamente è più un iter formativo che un punto di partenza, si pone più come risultato che come punto di arrivo. In genere non esistono particolari conflitti, attualmente non li noto.

Allargando un po' il discorso e portandolo fuori dalla Città dei Ragazzi e spostandolo sulla società odierna è secondo lei possibile arrivare ad una convivenza?
Io penso che non soltanto sia possibile ma sia ineluttabile, cioè è la forza della storia che ti si presenta con tutte le sue esigenze. Possiamo fare tutte le leggi che vogliamo per impedire, per chiudere ma questo è il cammino della storia. Ora il trovare da una parte una certa giustezza legislativa credo che sia doveroso, ma nello stesso tempo una capacità di accoglienza e di apertura mediante la quale non si creino cittadini di ruolo a e cittadini di ruolo b come spesso avviene. Allora ecco il problema grave per la città dei ragazzi in questi ultimi anni in particolare, è stato quello di regolarizzare quanto più possibile la situazione giuridica di questi ragazzi. Un compito faticosissimo, un compito non semplice perché non sempre le pubbliche autorità vedono un po' il problema ma non vedono il caso singolo. Ora non si può risolvere questi problemi fissando i massimi sistemi ma sono sempre problemi che coinvolgono la vita, gli ideali, i sogni di un ragazzo. Allora il compito è come rispettare questi ideali, questi sogni di questi ragazzi attraverso un loro inserimento organico e pacifico all'interno di una realtà come quella della società italiana. Tenendo presente un altro elemento cioè che questi ragazzi, adesso in genere, la stragrande maggioranza sono venuti qui con l'idea del lavoro. Mentre prima nella città dei ragazzi venivano prevalentemente ragazzi italiani erano dai più piccoli che entravano e rimanevano poi moltissimi per tutto l'iter fino alla maturità, per cui anche all'autogoverno si formavano, diventava un loro sistema di vita, un loro modo di estrinsecare le loro capacità, di affermare se stessi, oggi i ragazzi che vengono, in genere, nelle stragrande maggioranza, non sono bambini di 5° elementare, 1° media, ma sono ragazzi alcuni venuti clandestini, la maggioranza forse venuti clandestini, quindi già con l'idea di inserirsi nel mondo del lavoro per ripagare i debiti che hanno fatto i loro genitori per farli venire, per impegnarsi nel lavoro qual è che sia, vengono a trovarsi poi all'interno della città dei ragazzi ormai quindicenni, sedicenni, diciassettenni che hanno già dietro una mentalità diversa, una formazione anche scolastica diversa e vengono qui e l'impegno primo della città dei ragazzi è quello di inserirli poi nella scuola, si sta cercando adesso in modo particolare di incrementare l'aspetto formativo al lavoro, ossia alcuni corsi per carrozzeria, termo-idraulica in modo che non soltanto con la scuola ma attraverso la scuola e queste attività il ragazzo diciottenne potesse avere da spendere quelle competenze acquisite in quel corso e quindi trovare un posto di lavoro e quindi inserirsi poi in questo mondo del lavoro.
E questo è difficile perché, a parte il fatto della crisi del lavoro, trovare un posto di lavoro per tutti, per gli italiani come per gli stranieri è difficoltoso, ma è difficoltoso anche perché forse il ragazzo formato qui crede che tutto sia poi semplice "mi dovete trovare il posto di lavoro" "Magari fosse possibile" allora ecco certe frustrazioni, certi atteggiamenti di insoddisfazione "Perché, perché, sono venuto per lavorare e mi fate fare scuola, faccio scuola, vado a trovare lavoro e non è semplice trovarlo" questi sono credo gli interrogativi più seri, più gravi attualmente della città dei ragazzi, sono problemi molto seri perché c'è l'impegno di venire incontro a queste loro esigenze ma c'è anche una società che di queste esigenze non sempre tiene conto. Loro vorrebbero subito appena entrano il permesso di soggiorno, col permesso di soggiorno avere il posto di lavoro, un posto di lavoro regolare e non tutti i datori di lavoro sono disposti a fare questo. Questo un po' è un problema abbastanza delicato attualmente della città dei ragazzi.
Altri spetti. In questi ultimi anni, dal '98 in particolare, tutte queste istituzioni che accolgono minori nella legislazione italiana hanno subito una radicale trasformazione: la città dei ragazzi in qualche modo non è mai stata un istituto, un orfanotrofio, un collegio perché la sua struttura stessa è particolare però non è neanche omogeneo a quelle indicazioni che la legislazione ultima richiede. Ecco allora la sfida più grande a cui la città dei ragazzi è chiamata a dare risposta è appunto questa: come utilizzare, sfruttare, fare vitalizzare questa ricchissima tradizione pedagogica, questa presenza significativa nei sistemi educativi italiani, come inserirli all'interno di una realtà diversa così come i parametri fissati dalle norme legislative ci richiedono e adesso ci siamo mossi nel senso che si stanno facendo dei lavori di ristrutturazione. La nuova legga prevede o case famiglia o gruppi appartamento: i gruppi appartamento che noi stiamo adesso realizzando comporta una unità autonoma di al massimo 8 ragazzi con i loro educatori, con la loro cucina, con i loro ambienti, con le camere per studiare, per dormire, per sviluppare la loro attività. Questo è un po' quello che la legge ci richiede quindi non tanti ragazzi che nel ristorante stanno insieme, ci chiede che quegli otto ragazzi hanno la loro cucina, quindi diventano problemi molto forti però io penso che sia dovere un pochettino di tutti intervenire per non perdere il patrimonio del passato ma per rivitalizzarlo inserendolo in contesti nuovi. È una sfida, io penso che un sfida richieda non poche risorse economiche, di ristrutturazione, risorse di personale perché anche il rapporto con gli educatori cambia in qualche modo fisionomia, risorse che la città dei ragazzi io penso deve essere capace di cacciar fuori. Nella storia del passato, dal punto di vista economico, la città di ragazzi si è mantenuta, nel 90% delle cifre di spesa, da offerte americane. Sono stati benefattori americani mobilitati saggiamente da Mons. Carrol-Abbing che costituiscono la Boys Town of Italy, un altro ente in america, i quali attraverso un'attività diversificata, raccolgono somme consistenti e con quelle è stato costruito un po' tutti gli edifici della città dei ragazzi. Ora questi aiuti americani continuano, non dimentichiamoci che questa boys town è stata negli anni '50-'60 dove erano presenti soprattutto molti italo americani che avevano fatto fortuna in America e in qualche modo si sentivano impegnati a mantenere ragazzi italiani e hanno generosamente, veramente con una generosità unica, mantenuto qui. Ora son passati gli anni, l'Italia non è più l'Italia della ricostruzione del dopo guerra è l'Italia che si presenta nel g8, nel g7 quindi come una grande potenza per cui qualcuno dice "Noi dobbiamo mantenere, lo Stato italiano non può mantenere?" Ci sono questi interrogativi e questi silenzi. Un altro aspetto, questo conseguente alla nuova legislazione: mentre nel passato erano 100-120 ragazzi che erano qui presenti in queste strutture perché i criteri abitativi erano altri, adesso con queste normative a cui dobbiamo attenerci una sessantina di ragazzi sarà difficile poterne avere di più anche perché la legge in qualche modo non è favorevole all'assembramento di tanti ragazzi in uno stesso spazio. I gruppi appartamento è perché un piccolo gruppo qui, un altro piccolo gruppo da un'altra parte. Ora io non metto le mani sul fuoco sulla validità di questi gruppi appartamento perché i problemi esistono e ne esistono parecchi specialmente quando ad essere presenti non sono bambini piccoli ma sono ragazzi adolescenti anche più grandi. Qui la città dei ragazzi può dare una possibilità ulteriore: quella dello sport, quella della attività, quella della scuola di computer in diversi livelli, quella dell'officina meccanica, la ceramica… questi ragazzi non sono lasciati a se stessi, trovano nella loro giornata una organizzazione che li impegna la mattina con la scuola, il pomeriggio con un corso, con l'attività sportiva in particolare, cosa che un gruppo appartamento non offre perché devono andare a scuola fuori… avranno altri aspetti positivi, quello di socializzare però quello che nel passato avveniva, vale a dire che i ragazzi rimanevano sempre qui oggi è molto ridimensionato perché molti il sabato possono andare a casa perché hanno familiari e credo che gli enti pubblici debbano tener conto di questa situazione, di queste opportunità educative.
I ragazzi come vengono ammessi e quali sono i ragazzi che vengono ammessi? Le tipologie sono diverse: quelli che già da qualche anno si trovano qui la stragrande maggioranza erano ragazzi che attraverso il servizio di prima accoglienza indirizzavano poi qui e allora di qui si vedeva, si mettevano, se ne studiava un pochettino la provenienza, attraverso i servizi sociali si vedeva un pochettino la loro realtà di provenienza e quale era il progetto che si poteva stabilire per loro. Oggi quest'ultimo periodo sto vedendo che a questa tipologia ne sta subentrando un'altra: ci sono qui in Italia molti extracomunitari che lavorano mamme che fanno persone di servizio e che hanno figli che non possono tenere o perché non hanno la casa o perché tutto il giorno sono impegnati allora si rivolgono perché vengano accolti, vengano seguiti. Adesso comincia ad aumentare il numero di queste persona, di questi ragazzi che a volte noi la prima cosa che diciamo è che il papà la mamma si rivolgano ai servizi sociali territoriali per dire "guarda, io mi trovo in questa situazione, non posso mantenere questi bambini, vorrei inserirli; ma i servizi sociali territoriali nella stragrande maggioranza sono abbastanza sordi a queste richieste perché loro privilegiano la permanenza presso i genitori di questi ragazzi; allora di fronte a queste oggettive difficoltà di mantenerli, di mandarli a scuola, di seguirli, noi siamo disposti anche a prenderli a "trattazione privata" potremmo dire, cioè è il papà che chiede che vengano e noi comunichiamo poi al servizio sociale, al comune che è presente perché il papà o perché la mamma ha chiesto di accoglierlo. Questa è un po' una tipologia che credo prenderà più spazio nell'andare avanti. La fase dei ragazzi venuti col gommone, specialmente albanesi, si è molto ridimensionata per cui almeno qui quest'anno non ci sono stati casi di ragazzi mandati anche per un altro motivo: perché l'istituto, l'opera, la città dei ragazzi ancora non ha ufficialmente un accreditamento con il Comune. Questo accreditamento dovrebbe venire dopo questi lavori che stiamo facendo di ristrutturazione. Il secondo momento è quello, dopo aver fatto tutto il corso scolastico, la preparazione, è quello dell'inserimento delle dimissioni di questo ragazzo, di questo giovane. E questo è un altro problema molto molto delicato: realtà, ripetono spesso gli enti pubblici, che devono rimanerci soltanto i minorenni; in realtà noi qui nella città dei ragazzi non sono presenti soltanto minorenni ma sono anche dei maggiorenni e anche in numero consistente, legati al progetto che si sta realizzando per loro. L'esempio di un ragazzo dopo aver conseguito il terzo anno dell'Ipsia, dell'istituto professionale, vuole e ha le capacità di continuare scolasticamente il quarto e il quinto, in genere con il terzo tutti diventano maggiorenni è raro il ragazzo che finito il terzo non sia già maggiorenne, e allora noi si continua e su questi qui a volte accettano, a volte non accettano gli enti pubblici però noi ci facciamo in qualche modo forza anche dagli aiuti che ci vengono dall'America per poter, nonostante tutto, mantenere questi ragazzi.
Il problema poi ancora più delicato è quando devono lasciare la città dei ragazzi e qui le difficoltà sono tante, sono legate al lavoro, sono legate all'abitazione: se è difficilissimo per un giovane italiano trovare una camera, trovare un appartamento dove poter vivere, figuriamoci per un extracomunitario e allora la ricerca, molte volte si mettono d'accordo tra di loro per cui prendono una camera dove poster vivere insieme, altre volte hanno qualche zio o qualche familiare presso il quale possono per u periodo di tempo trovare ospitalità ma questo è un problema molto serio la cui soluzione la Città dei Ragazzi non ha gli strumenti per poter far fronte. Avevo ventilato la possibilità di avere degli appartamenti fuori città dove tre ragazzi per un anno "primo anno va be', potete stare lì pagando un minimo affitto" ma questo purtroppo non c'è e allora è sempre un problema che loro vivono con grande disagio, a volte addirittura dicendo "ma come, la città ci manda via?". Ci sono dei ventenni alcuni dell'82, alcuni dell'83 quindi la città ha fatto forse più di quello che era suo dovere fare per venirgli incontro poi c'è ance che il ragazzo che la vita è vita di responsabilità e deve saper inserirsi nel mondo del lavoro, trovare, pazientare, non sempre il primo lavoro che trovi è quello che ti da lo stipendio consistente, la tranquillità. Molte volte questo è uno degli aspetti che i ragazzi si creano dentro di se, questi aspetti falsi della vita. "ah, mi devono dare subito…" "ti devono dare…, anzi ringrazia Dio se ti danno qualcosa!" quello che è giusto è un diritto dei ragazzi pretenderlo però un datore di lavoro quando ti prende vuole prima vedere che cosa tu dai. Io ripeto spesso ai ragazzi che si trovano in queste situazioni "convincetevi che un datore di lavoro vi prende e vi da 10 perché lui deve introitare dal vostro lavoro 20, 30" "Sfrutta!" "forse anche, però questa è la logica, quindi mettetevi, fatevi ben volere" e allora il rapporto diventa più chiaro, più lineare, più di vicendevole rispetto ma inizialmente stanno tutti sul chi va là.

Rapporto tra città-cittadini e città-excittadini
Nel passato sono stati centinaia e centinaia, migliaia addirittura i ragazzi che sono passati attraverso la città e s'è creato un rapporto profondo di vicendevole conoscenza e riconoscenza da parte degli ex-cittadini. Hanno costituito anche un'associazione degli "ex" che hanno i loro organi, si riuniscono e ci tengono ad essere presenti a difendere in modo particolare l'idealità che ha spinto Mons. Carrol-Abbing per quest'opera. Certamente gli ex attualmente in attività sono una forza enorme per la città perché sono di stimolo, è la memoria storica che in qualche modo rende vivo l'impegno educativo. Io penso che quella tipologia di ex-cittadini del passato oggi sia molto più difficile averla perché quando della città praticamente il 90% sono stati tutti stranieri immigrati che un po' si sono sistemati di qua e di là è molto più difficile che entrino nella psicologia del dire "io sono riconoscente verso la città dei ragazzi" ci sono alcuni che lo fanno ma la massa dove c'è il grande numero diventa molto più difficoltoso anche perché qui all'interno della città dei ragazzi hanno trovato dei vantaggi enormi, quello dell'aver studiato, quello dell'essersi preparati un po' alla vita, ma anche altri l' hanno subita invece come dicevo prima "sono venuto per lavorare invece alla città dei ragazzi mi hanno fatto studiare". Per noi è logico ma secondo la loro mentalità in cui un ragazzo di 12, 13, 14 anni dal paese di origine già era un ragazzo che era immesso nel mondo del lavoro, venire qui e dire "se non diventi maggiorenne non lavori" si trova un po' scombussolato. Un enorme ricchezza questa presenza degli ex-cittadini che continua a fare le loro riunioni, a essere disponibile, a venire anche incontro ai ragazzi - anzi io penso che dovrebbe essere ancora più organico questo rapporto, dall'altra questa tipologia nuova che presenta forse o qualche interrogativo o qualche difficoltà perché questi sono tutti uomini ormai di una certa età che vivono nel mito dell'esperienza vissuta. Oggi invece la loro aspetto d'aiuto perché ci aiutino e veder come questi aspetti altamente positivi del passato possano inserirsi in questa realtà diversa. Per quanto riguarda gli ex-cittadini ci sono degli incontri che si fanno con loro a Natale, l'anniversario della morte di Monsignore e sono momenti in cui sono molti che con tutte le loro famiglie vengono, c'è la cena insieme per mantener vivo il ricordo della loro esperienza vissuta nell'ambiente in cui è stata vissuta e questo è altamente positivo e anzi bisognerebbe, forse, ulteriormente incrementarlo.

Quali sono le sue peculiarità le abbiamo viste, quali invece le differenze con gli altri istituti?
La proposta educativa offerta dalla città dei ragazzi l'abbiamo vista attraverso le parole di monsignore, quello è l'ideale educativo cui tendere attraverso il metodo dell'autogoverno attraverso una pluralità di impegni, di attività, di situazioni. Ora questo concludendo non è semplice tutto quello che si va facendo perché i problemi esistono. Non dimentichiamoci che oggi a livello giovanile genericamente parlando esistono problemi educativi molto forti e impellenti, contraddizioni, crollo di ideali, difficoltà nel saper progettare la propria vita a lungo termine, vivere il momento immediato, la poca consapevolezza del valore delle cose, dei soldi questo è un fenomeno che i sociologi parlando dei giovani sottolineano con molta frequenza. Ora questi non sono giovani campati fra le nuvole, sono giovani come gli altri aggravata la loro situazione dal fatto che vengono da particolari disagi e che vivono in situazioni all'interno di una struttura (gruppo appartamento o casa famiglia o semi autonomia o chiamiamola come vogliamo) che in qualche modo sentono di non poter fare quello che vogliono, come vogliono, dove vogliono. Questo è un po' il problema di tanti genitori, di tante famiglie, e allora come sollecitare quella coscienza attraverso la quale questi giovani riescano a prendere atto della loro realtà non mistificandola? Questa realtà devo affrontarla, devo affrontarla con quelle competenze e quella consapevolezza che si è creata in me per poter superare e le difficoltà e gli ostacoli, e in qualche modo giocare la mia vita nel modo migliore. Questo è il discorso più generico della formazione dei giovani oggi. Penso che se difficoltà ci sono qui, ci sono nella scuola, ci sono nella, famiglia, ci sono nei gruppi giovanili: è molto più generalizzata una certa difficoltà anche perché il dialogo con gli adulti spesso non è che venga accettato come punto di partenza e a volte è difficile perché l'adulto deve intervenire, deve sollecitare ma deve anche richiamare e allora spesso il giovane lo vede come una presenza limitante, come una presenza che mi coarta. Qui hanno, lo dico sempre ai ragazzi, una struttura aperta per cui se ci stai è perché ci vuoi stare, lo starci assumendo poi anche e facendo proprie quelle norme, quegli indirizzi, quelle regole che sono alla base di una convivenza di giovani c'è chi facilmente ci si inserisce e chi fa un po' più di difficoltà ma questo è nella normalità delle cose, non meraviglia, certamente noi desidereremmo subito la bacchetta magica con cui risolvere ogni problema. Parlando con gli educatori dico sempre "stiamo attenti a non perdere di vista la realtà" dire che questo ragazzo è così è un'analisi che va fatta ma la cosa più importante per noi educatori è quello che facciamo dopo l'analisi cioè se il ragazzo presenta queste disfunzioni, questi problemi, questi interrogativi, questi comportamenti, quali sono gli strumenti che noi usiamo per intervenire, per far sì che l'aspetto positivo del ragazzo prenda il sopravvento su alcuni angoli bui della sua personalità. E questo è un compito educativo non facile perché sarebbe molto più facile dire "questo ragazzo si comporta male allora via, vada in un'altra struttura" come a volte qualcuno richiede. Io sono dell'idea che il trasferimento di un ragazzo da una struttura ad un'altra, che può avvenire e a volte deve avvenire, onestamente ci deve porre la domanda che noi non siamo stati capaci di risolvere.

La banca della Città dei Ragazzi come funziona?
Questo è all'interno dell'autogoverno. L'autogoverno comporta l'elezione del Sindaco ogni due mesi insieme ad un giudice e a un questore, il Sindaco sceglie poi la giunta. Quando si è insediata la nuova giunta ci sono anche i compiti affidati: c'è il banchiere, c'è il capo ristoratore, di quelle attività che sono parte integrante della vita del ragazzo come il responsabile dello sport, il responsabile delle pulizie. Nell'assemblea che si fa tre volte alla settimana, attualmente, si chiede come vanno questi campi specifici di attività, ciascuno può dire la sua, ciascuno è libero di parlare, alza il dito e il Sindaco gli deve dare la parola, si alza e dice quello che lui ritiene opportuno dire. Un campo particolare delle attività è quello dello Scudo, vale a dire tu hai fatto questa attività e allora ad ogni attività c'è una paga: 10 scudi per le pulizie, 10 scudi per la frequenza scolastica, 10 scudi per le attività di computer, modellismo,ceramica,… questo foglietto che viene distribuito autorizza poi scuotere andando in banca. La banca fa delle trattenute perché lui ha mangiato… quindi ci sono delle trattenute che sono dovute, le altre sono scudi che vengono date ai ragazzi; con questi scudi i ragazzi possono andare al bazar per fare degli acquisti tipo la merendina, una bibita, materiale che serve per le pulizie, shampoo. Nel passato questo sistema era ottimo perché negli anni passati i ragazzi non avevano una lira in tasca quindi loro entravano nella logica che il lavoro, il mio servizio fatto è remunerato e questo mi da anche le possibilità acquistare questo e quest'altro che mi serve, quindi era formativo. Oggi questo sistema, che per me è ancora valido, sta scricchiolando perché i ragazzi hanno i soldi: lo zio, i genitori, qualche lavoro che loro hanno fatto durante l'estate, perché i più grandi sono andati a fare dei lavori, quindi hanno dei soldi e con il soldo in tasca i 10 scudi c'è meno motivazione. Un altro aspetto: prima erano moltissimi i ragazzi più piccoli i quali in questo gioco si sentivano protagonisti; ora la maggioranza sono diciassettenni, diciottenni quindi l'interesse loro è altro. Anche questo credo che in una revisione dell'autogoverno debba essere tenuto presente perché quell'aspetto educativamente valido della paga dell'attività e poi la possibilità di fare spese come questo possa essere mantenuto all'interno delle trasformazioni che la società sta assumendo e che i ragazzi subiscono, vivono.

 

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Num 19 Novembre 2002 | politicadomani.it